Nota: tutto ciò che segue è un tentativo di analisi ironica di quanto accaduto in America stanotte.
Potrebbe far ridere, potrebbe far riflettere, potrebbe persino far venire voglia di un lungo soggiorno nella ridente Siberia.
Quando mi hanno detto che Donald Trump era il nuovo presidente degli Stati Uniti, la mia prima reazione è stata il panico. Ho controllato la mia pressione arteriosa, ho preso i miei medicinali, e mi sono domandato se un uomo della mia età può ancora subire tali colpi.
Tutte queste preoccupazioni, devo ammetterlo, non hanno nulla a che fare con la mia scarsa fiducia nelle capacità politiche di Donald Trump, che in fondo ha una carriera di successo in televisione, nei casinò, nei concorsi di bellezza… e, insomma, qualche altra attività apparentemente non direttamente collegata alla gestione di un intero Paese.
Ma fermiamoci un attimo e ragioniamo, con il distacco che solo un’ampia dose di ansiolitici può garantire, su cosa significa davvero che Donald Trump è diventato presidente. Intanto, è uno shock per chiunque avesse ancora una minima fiducia nell'intelligenza collettiva dell'umanità, o almeno nell'intelligenza di una parte specifica dell'umanità chiamata “elettorato americano.” E sì, lo so che è una frase terribile, ma perdonatemi: sono un italiano, e siamo abituati a vedere il peggio nel prossimo.
Ora, il sogno americano ci ha sempre raccontato che chiunque può diventare presidente. E Trump ci ha dimostrato che non era solo una frase retorica: CHIUNQUE può diventare presidente. Basta avere un patrimonio stimato di diversi miliardi, una familiarità con il concetto di bancarotta più intima di quella di qualsiasi cittadino medio, e una predilezione per il colore arancione degna di un cosplayer di Halloween.
Certo, potrebbe sembrare che io abbia dei pregiudizi contro Donald Trump, e non voglio certo che passi quest'idea. Gli ho voluto dare una possibilità: ho cercato su internet il suo programma politico. Mi è apparso un video di lui che diceva di voler costruire un muro. Non so a voi, ma a me l’idea che il leader della più grande potenza economica e militare del mondo si comporti come un bambino offeso con i Lego mi ha fatto dubitare un po' della sua effettiva preparazione politica. E anche della mia passione per i mattoncini, se proprio vogliamo dirla tutta.
Ma non fermiamoci alla superficie, al muro, ai capelli scolpiti come una statua rinascimentale a cui hanno dato fuoco. La verità è che Donald Trump rappresenta, per molti, un cambiamento, una rottura con l’establishment.
In fondo, non è assurdo? Un miliardario che rappresenta la rivolta contro le élite. È come se un piatto di caviale rappresentasse una rivolta contro la cucina raffinata. Però è successo. E in America, dove tutto è possibile (ma proprio tutto), un miliardario che possiede attici e casinò è diventato la voce del popolo, l’uomo della strada. Siamo sicuri che non sia la trama di una commedia degli anni '80?
Però, se Trump è stato eletto, un motivo ci sarà. Forse la gente si è stufata di vedere politici troppo moderati, troppo indecisi, che parlano di "costruire ponti" mentre i cittadini americani preferiscono costruire muri.
E in fondo, costruire un muro dà l’idea di un lavoro fatto bene, solido, immobile. Un ponte, invece, è insidioso: ci puoi passare sopra, ma è pericoloso; c’è sempre l’eventualità che qualcuno venga a buttarlo giù. Trump invece è rassicurante: lui costruisce muri. L’America ha scelto la sicurezza del muro contro l’incertezza del ponte. Si sente già un’eco da manuale di psicologia: “Ogni elettore è segretamente attratto dalla stabilità delle strutture verticali”.
E poi, come dimenticare la questione della famiglia Trump. Per un presidente che fa una famiglia del suo più stretto staff politico, la Casa Bianca diventa un affare di famiglia, un po’ come il panificio di tuo zio Carmine. La First Lady, Ivanka, è entrata nella West Wing; il genero, Jared Kushner, è diventato il portavoce diplomatico di una nazione intera, probabilmente senza neanche sapere bene dove si trovano la Siria o l'Iran su una mappa del Risiko. Un po’ come chiedere al pizzaiolo di dare una mano con la pianificazione urbanistica: forse ha idee brillanti, forse anche un palato raffinato per il peperoncino, ma c’è sempre un margine di rischio. Ma Trump, da vero self-made man, ha deciso di fare tutto a modo suo. In un certo senso, lo capisco: ha trasformato il governo americano in una sorta di società a conduzione familiare, come se l’intera politica estera fosse una grigliata di famiglia.
E poi c’è la questione della verità, quel piccolo dettaglio che la politica di Trump sembra aver completamente rimosso dall’equazione. Nel suo mondo, la verità è relativa, un concetto flessibile, come il mio orario di lavoro. D’altronde, ci ha insegnato che se ripeti una cosa abbastanza volte, anche la menzogna più sfacciata può sembrare una verità assoluta. E in fondo non è così che funziona la magia del cinema, dell’intrattenimento? Per un uomo come Trump, che ha dominato la scena televisiva con "The Apprentice", la politica non è altro che uno show, una sorta di grande palcoscenico in cui interpretare la parte del leader forte, senza paura di esagerare.
Non lo so. Forse esagero anche io, forse dovrei solo abituarmi. Ma è difficile, sapete? È come quando incontri per la prima volta il fidanzato di tua figlia e scopri che è un musicista free jazz con i capelli verdi e un’auto che non funziona: vuoi disperatamente trovare un modo per convincerti che tutto andrà bene, ma un piccolo senso di panico ti serpeggia nello stomaco.
È così, amici miei. Ora dobbiamo abituarci a vedere il Presidente Donald Trump su tutte le reti televisive, a sentirlo parlare di muri, a guardarlo mentre si avvicina minaccioso al pulsante nucleare come un bambino in un negozio di dolciumi. C’è chi dice che Trump sia la perfetta espressione del sogno americano, una specie di reincarnazione di Rockefeller in versione reality show.
Io, modestamente, non ne sono convinto.
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