mercoledì 17 dicembre 2025

2025 Musical box


Quello che sta per finire è stato un anno in cui la musica ha mostrato una tensione sotterranea verso l’ambiguità emotiva. Dopo stagioni improntate alla nostalgia o al minimalismo curativo, molti artisti hanno lasciato emergere un linguaggio più conflittuale, celebrando ciò che è dissonante, frammentato, imperfetto. È stato l’anno delle identità multiple, dei racconti spezzati, dei dischi che abitano una zona di confine tra vulnerabilità estrema e potenza espressiva.
Molte uscite hanno condiviso una spinta verso l’immaginazione rituale, verso sonorità che sembrano evocare mondi interiori, miti personali, memorie distorte. In un clima culturale in cui la realtà appare spesso opaca e sfuggente, la musica del 2025 ha scelto di non offrire spiegazioni, ma ambienti emotivi: stanze sonore in cui perdersi, figure quasi archetipiche, narrazioni che si costruiscono più attraverso la suggestione che attraverso la linearità.
Ecco quindi quelli che, a mio parere, sono stati i lavori che meglio hanno catturato questo mood sospeso, inquieto e profondamente evocativo.

Blood Orange - Essex honey


Essex Honey è uno degli album più intimi e vulnerabili di Blood Orange, un lavoro che esplora ricordi, radici e lutto con una delicatezza rara. Il disco si muove tra malinconia e dolcezza, come un lungo viaggio nella memoria: pianoforti soffusi, archi tenui, chitarre leggere e synth morbidi costruiscono un paesaggio sonoro ovattato, quasi come se ogni brano fosse un ricordo che riaffiora con cautela.
La produzione è ricca ma mai ridondante, piena di sfumature emotive che emergono a ogni ascolto. L’album alterna momenti di grande intimità, quasi sussurrati, a passaggi più ampi e cinematografici, mantenendo sempre un equilibrio tra fragilità e grazia. 
Le voci ospiti contribuiscono a questo senso di memoria collettiva, come se ogni presenza fosse un frammento di passato che torna a farsi sentire.
I brani più riusciti sono quelli che riescono a fondere meglio il lirismo con la ricerca interiore: canzoni che sembrano sospese tra nostalgia, dolore e una tenue speranza. L’intero album è pervaso da un sentimento di perdita che non schiaccia, ma che diventa occasione di trasformazione e nuova consapevolezza.
Essex Honey non punta all’impatto immediato, ma alla profondità emotiva. 
È un diario in musica, un racconto di identità e guarigione, capace di toccare corde molto personali e di accompagnare l’ascoltatore in un percorso lento, sincero e luminoso nella sua fragilità.
 

The Necks – Disquiet


Con Disquiet, The Necks tornano a indagare il potere della ripetizione, ma lo fanno con una lucidità quasi ascetica. Le loro improvvisazioni, mai lasciate al puro caso, si sviluppano come correnti sotterranee che lentamente scavano nella percezione dell’ascoltatore. È un album che mette in scena un contrasto tra serenità apparente e tensione latente: le trame pianistiche sembrano cercare una quiete che non arriva mai del tutto, mentre contrabbasso e percussioni disegnano micro-scosse continue. Un lavoro ipnotico, che si distingue per eleganza e profondità.

Ethel Cain – Perverts


In Perverts, Ethel Cain porta il suo immaginario gotico in territori ancora più audaci. Le atmosfere diventano soffocanti, il paesaggio sonoro assomiglia sempre più a un interno mentale dove convivono desiderio, colpa e redenzione. La produzione è volutamente irregolare, sporca, come se la musica stessa fosse stata corrosa dagli eventi narrati. Cain canta con una intensità quasi febbrile, lasciando trapelare fragilità e ferocia in egual misura. Un disco che non cerca di essere “piacevole”, ma vero nel modo più disturbante e seducente possibile.

Ethel Cain – Willoughby Tucker, I Will Always Love You


Se Perverts è la discesa nell’ombra, Willoughby Tucker è il tentativo di guardare quella stessa ombra da un altro angolo, più intimo, più umano. Questo progetto è dominato da un sentimento di devozione e perdita, in cui la figura di Willoughby Tucker diventa una sorta di icona tragica. Le composizioni sono più ariose, spesso scarne, ma attraversate da una dolorosa luminosità. La voce di Cain si fa più vulnerabile, quasi sussurrata, come se volesse custodire segreti troppo pesanti per essere detti a voce alta. È un album che arricchisce profondamente il suo universo narrativo.

Massimo Silveiro – Surtùm


Surtùm conferma Massimo Silveiro come uno degli autori più visionari della scena italiana contemporanea. L’album intreccia elettronica, vocalità manipolata e atmosfere mistiche con una coerenza impeccabile. Non c’è nulla di superfluo: ogni suono sembra calibrato per creare un ecosistema emotivo in cui convivono spiritualità, inquietudine e contemplazione. Surtùm non è un disco da ascoltare passivamente; è un luogo da visitare, un’esperienza sensoriale che invita al raccoglimento ma anche allo smarrimento.

Julie’s Haircut – Radiance Opposition


Con Radiance Opposition, i Julie’s Haircut approfondiscono ulteriormente la loro traiettoria psichedelica, ma con una maturità che sorprende persino chi li segue da anni. Le composizioni sono più stratificate, quasi cosmiche, e alternano momenti di trance krautrock a improvvise aperture melodiche. L’album vibra di energia rituale: è musica che sembra invocare, evocare, trasformare. Un lavoro che testimonia la capacità del gruppo di rinnovarsi senza perdere la propria identità, rimanendo una delle realtà più originali del panorama italiano.

Saha Mohona - A dark place


A Dark Place dei Maha Sohona è un’immersione profonda in sonorità stoner e psichedeliche, costruita su riff robusti, groove lenti e un’atmosfera costantemente sospesa tra malinconia e intensità. Le tracce scorrono con naturalezza, alternando momenti più pesanti e sabbiosi a passaggi ariosi e contemplativi, senza mai perdere coesione.
La band non punta alla sperimentazione estrema, ma alla solidità: ogni brano è calibrato, ben prodotto e capace di evocare immagini quasi cinematiche. Ne risulta un album che avvolge e trascina, ideale per chi cerca un ascolto denso, ipnotico e ricco di vibrazioni emotive.

Nation of language - Dance called memory


Dance Called Memory dei Nation of Language è un album che intreccia malinconia e luminosità, fondendo il synth-pop anni ’80 con una sensibilità contemporanea molto raffinata. Le canzoni alternano tensione emotiva e slanci danzabili, con sintetizzatori avvolgenti, linee vocali intime e una cura melodica che rende ogni brano immediato ma stratificato.
I temi ruotano attorno alla memoria, alla perdita e alle trasformazioni interiori, evocati con uno stile sobrio e poetico. L’album sa essere sia introspettivo che energico: alcuni pezzi si muovono su ritmi pulsanti, altri preferiscono atmosfere più sognanti e contemplative.
Nel complesso, è un lavoro che conferma la maturità del gruppo: elegante, emotivamente risonante e capace di creare un dialogo costante tra nostalgia e rinnovamento.

The Veils - Asphodels


Asphodels rappresenta uno dei momenti più raccolti e maturi della carriera dei The Veils. L’album si muove su territori intimi e crepuscolari, privilegiando arrangiamenti sobri in cui pianoforte e archi hanno un ruolo centrale, spesso più evocativo che decorativo. Il suono è essenziale ma ricco di sfumature, lasciando respirare le canzoni e mettendo in primo piano la voce e la scrittura.
I testi sono profondamente introspettivi e affrontano temi come l’amore, la perdita, il tempo e la memoria con un tono poetico e meditativo. Non c’è ricerca dell’impatto immediato, ma piuttosto un lento avvicinamento emotivo che si costruisce ascolto dopo ascolto. Asphodels è un disco che richiede attenzione e silenzio, e che ripaga con un senso di delicatezza e intensità emotiva, confermando la band come una realtà capace di evolversi senza perdere identità.

Annahstasia - Tether


Tether è un album intenso e viscerale, costruito attorno alla voce profonda e magnetica di Annahstasia, vero fulcro emotivo del disco. Le canzoni si muovono tra folk, soul e suggestioni blues, con arrangiamenti spesso scarni che lasciano spazio al peso delle parole e all’espressività interpretativa. In alcuni momenti, la sua interpretazione vocale richiama le atmosfere più libere e spirituali di Tim Buckley, soprattutto per l’uso del registro emotivo e delle modulazioni, che conferiscono ai brani un senso di apertura e vulnerabilità.
I testi esplorano temi di identità, fragilità, desiderio e legami emotivi, con un tono diretto e quasi confessionale. Tether parla di connessione e radicamento, ma anche di esposizione emotiva, senza mai risultare artificioso. È un ascolto profondo e coinvolgente, che colpisce per sincerità e forza espressiva, lasciando un’impressione duratura.

Racing Mount Pleasant - Racing Mount Pleasant


Racing Mount Pleasant mostra una band giovane ma ambiziosa, capace di fondere folk rock, post‑rock e chamber pop in un unico flusso sonoro che alterna delicatezza e slanci strumentali. Gli arrangiamenti ricchi di archi, fiati e percussioni dinamiche creano un universo sonoro stratificato, dove le canzoni si muovono tra momenti intimi e crescendi epici senza soluzione di continuità. La scrittura lirica predilige immagini suggestive e vaghe, lasciando all’ascoltatore il compito di completare il racconto e di entrare pienamente nell’atmosfera del disco. 
Musicalmente il lavoro guarda a grandi formazioni orchestrali indie contemporanee, costruendo tessuti sonori ampi e ricchi, pur mostrando una band ancora alla ricerca di un linguaggio del tutto originale. Nel complesso, l’album respira ambizione e freschezza, alternando intensità emotiva e intimità con scioltezza, e invita a più ascolti per cogliere tutte le sfumature e la complessità dei suoi passaggi.

Rún - Rún


Rún è un disco che lavora per sottrazione e tensione: non cerca l’impatto immediato, ma costruisce lentamente un senso di inquietudine e movimento continuo. I brani sembrano avanzare come paesaggi in trasformazione, fatti di stratificazioni lente, dinamiche controllate e un uso dello spazio che pesa quanto le note. C’è una cura quasi architettonica nella scrittura, dove ogni crescendo è guadagnato e ogni pausa ha un significato. Il risultato è un ascolto immersivo, severo ma magnetico, che rifiuta la spettacolarità facile per puntare su una forza emotiva più profonda e persistente. 
Un album che non accompagna: chiede attenzione, e una volta concessa, non la restituisce facilmente.

looking back 2025

Pink Floyd - At Pompeii MCMLXXII


La nuova edizione rimasterizzata di Live at Pompeii restituisce al capolavoro un’aura rinnovata e sorprendente: suono migliorato e il missaggio moderno danno nuova vita all’atmosfera surreale e mistica del concerto nella vecchia arena di Pompei. La performance — già magica nel 1971 — risuona oggi con una profondità e chiarezza che valorizzano l’intensità emotiva dei brani. Per fan vecchi e nuovi, questa ristampa è un invito: rivivere un pezzo fondamentale della storia del rock in una veste finalmente all’altezza della sua grandezza originale.

Ida - Will you find me


La ristampa 2025 di Will You Find Me non è solo un semplice atto di celebrazione nostalgica, ma un vero e proprio riesame creativo: il cofanetto espanso restituisce all’album la sua dimensione originaria e lo arricchisce con decine di brani inediti — demo, outtake e versioni alternative — offrendo così una visione molto più completa di ciò che l’album rappresentava per Ida. Il disco originale, con le sue combinazioni di armonie delicate, arrangiamenti intimi e atmosfere sospese, acquista nuova profondità grazie a questo contesto ampliato. Per chi ama la band, la ristampa è l’occasione perfetta per riscoprire la fragilità, la sensibilità e la poetica di un progetto che unisce folk, dream-pop e malinconia in modo davvero singolare. Anche per chi lo ascolta per la prima volta, la versione 2025 appare come un piccolo tesoro — intimo, complesso e profondamente umano.

Bruce Springsteen - Nebraska '82


Nebraska ’82 riporta alla luce uno dei momenti più intimi e radicali della carriera di Bruce Springsteen, restituendogli uno spazio rinnovato senza alterarne l’essenza. Il lavoro di rimasterizzazione mette in risalto la grana della voce, il crepitio delle registrazioni casalinghe e quell’atmosfera sospesa che ha sempre reso l’album un unicum nella discografia del Boss. Le versioni alternative e le sessioni aggiuntive non servono da mero contorno: ampliano il contesto, mostrano la tensione tra le possibili evoluzioni elettriche del progetto e la scelta finale di un minimalismo quasi ascetico.
Ciò che emerge è un ritratto ancora più nitido dell’urgenza narrativa di Springsteen in quegli anni: storie di solitudine, colpa e redenzione raccontate con una sincerità disarmante. La ristampa permette di riscoprire non solo un disco imprescindibile, ma anche il coraggio artistico di un autore disposto a spogliarsi di tutto per far parlare solo le sue canzoni.

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