martedì 23 luglio 2024

La Gatta Cenerentola


Nel celebrare il compleanno di Peppe Barra (80 anni, auguri Maestro), ringraziandolo per essere stato accompagnato per buona parte della mia esistenza, dalla sua partecipazione all'esperienza della Nuova Compagnia di Canto Popolare sino ai giorni nostri, non posso evitare di ricordare l'emozione, lo stupore, e l'orgoglio di fare parte di una tradizione millenaria, che mi derivarono dalla visione di quell'inarrivabile capolavoro che fu "La Gatta Cenerentola", spettacolo tratto dall'omonima novella di Giambattista Basile, inclusa nella raccolta "Lo cunto de li cunti", databile tra il 1634 e il 1636.
Non di meno importante, nell'intera opera, fu il ruolo tenuto dal maestro Roberto De Simone, forse il più importante musicologo che l'Italia meridionale abbia mai espresso, non solo grazie ai molti saggi pubblicati dalla Einaudi, ma anche per il recupero e la rielaborazione di musiche tradizionali messa in atto con la Nuova Compagnia di Canto Popolare, capace di salvare dall'oblio sia un vasto repertorio, sia un approccio all'arrangiamento dello stesso.
E' il 1972 quando Eduardo De Filippo, favorevolmente impressionato dall'opera di De Simone e della NCCP, contatta Romolo Valli, direttore artistico del Festival dei Due Mondi di Spoleto, invitandolo a concedere spazio al gruppo, consentendogli così di presentarsi ad una platea molto più ampia rispetto a quella costituita dal solo ambito regionale.
I presupposti sulla base dei quali si giungerà successivamente alla creazione della Gatta Cenerentola, iniziano a manifestarsi di lì a poco quando De Simone e la NCCP, della quale, oltre a Peppe Barra, fanno parte Patrizio Trampetti, Eugenio Bennato, Fausta Vetere e Nunzio Areni, allestiscono "La Canzone di Zeza", primo tentativo di fondere insieme tradizione musicale napoletana e spettacolo teatrale.


Già in questo spettacolo infatti alle cinquecentesche villanelle di origine popolare, vengono affiancati elementi tipici dell'opera buffa, con esecuzioni attentamente studiate, che poco o nulla lasciano all'improvvisazione.
E' ancora Eduardo De Filippo, entusiasta per il progetto presentatogli da De Simone, che nel 1976  contatta nuovamente Romolo Valli, consentendo così che, dal 7 all'11 luglio dello stesso anno, l'opera debutti al Festival dei Due Mondi.
Basata come detto sulla fiaba omonima di Giambattista Basile, l'opera originale viene ampiamente rimaneggiata da De Simone, che elimina alcuni personaggi, aggiungendone di nuovi, basandosi sia su creazioni proprie, sia su versioni alternative della fiaba facenti parte della tradizione orale, raccolte durante le sue ricerche nell'entroterra campano.
Il racconto, tramandato dall'antichità in versioni differenti a seconda della sua provenienza, e trascritto da Basile ben prima delle versioni date da Perrault e dai Fratelli Grimm, narra di Cenerentola, che vive con la matrigna e sei sorellastre che, a causa del mancato legame di sangue esistente,  la disprezzano trattandola di fatto come una serva. Un giorno giunge notizia che il re ha indetto tre sere di ballo: la matrigna si mostra subito interessata a far partecipare la figlia maggiore all'evento e deride Cenerentola quando questa dichiara lo stesso desiderio.
Tuttavia, grazie all'intervento di un monacello (spiritello tipico del folclore locale), Cenerentola scopre un trucco magico che le permette di ottenere una serie di vestiti sontuosi, con cui si reca al ballo tutte e tre le serate, catturando l'attenzione del re. Quando fugge dal palazzo reale la terza sera perde tuttavia una scarpetta.
Due emissari del re esploreranno allora la città per provare la scarpetta a tutte le ragazze, annunciando che colei a cui calzerà diverrà regina. Cenerentola, timorosa, accetterà la prova solo dopo l'insistenza di un gruppo di lavandaie sue amiche.

Alla storia universalmente nota, De Simone unisce scene che, oltre a dilatarne la struttura, ne accrescono fortemente la simbolicità.
Ad esempio, quando a Cenerentola viene negata la sua partecipazione al ballo, la sua frustrazione, con chiari riferimenti sessuali, viene raffigurata con l'entrata in scena di quattro uomini in abiti femminili, tutti in nero, personificazione dei sentimenti della protagonista che, dopo essersi seduti uno accanto all'altro, recitano una sorta di rosario nel quale, perfettamente in rima, elencano gli uomini con i quali vorrebbero fare l'amore.


Non è questa l'unica presenza maschile/femminile all'interno dell'opera, visto che, non a caso, il personaggio della prima figlia e della matrigna, sono entrambi interpretati da uomini.
E qui, dopo aver reso omaggio a un grande Patrizio Trampetti, nel ruolo della figlia, torniamo al nostro festeggiato: il Maestro Peppe Barra, la matrigna, che interpreta il proprio ruolo in maniera perfetta, perfetto erede della tradizione delle commedie atellane, nelle quali non era raro vedere attori che, pur vestendo abiti femminili, mantenevano voce e movenze maschili.


A fronte di un notevole successo dell'opera nel resto d'Italia, essa venne duramente stroncata dalla critica napoletana l'opera suscitò non poche critiche a Napoli, dove quasi tutti i critici ne condannarono l'uso del turpiloquio e la struttura confusionaria.
Venne inoltre messa in dubbio l'autenticità di alcune delle figure popolari riportate, ma soprattutto venne criticato il ritratto di Napoli, che risultava chiassosa, superstiziosa e violenta, ignorando volutamente il fatto che quella rappresentata non era certo la Napoli attuale.
Lo spettacolo, nato nel segno della diffidenza da parte delle alte sfere locali, con il rifiuto al finanziamento da parte della regione Campania, solo nel  gennaio del 1977 ebbe la sua rappresentazione, al Teatro San Ferdinando, che Eduardo aveva già messo a disposizione per le prove. A dispetto di un'intellighenzia ostile, la cosiddetta "Napoli bene", il pubblico rispose con grande calore, godendo di un'opera unica e irripetibile.

Peppe Barra, pur a fronte dei suoi 80 anni, continua la sua attività artistica, alternando spettacoli teatrali, come l'ormai classica Cantata dei Pastori rappresentata durante il periodo natalizio, a dischi sempre di ottimo livello e a rari concerti nei quali egli continua ad invitarci ad esorcizzare i nostri demoni intonando insieme a lui l'immortale "Tammurriata Nera".
Auguri Maestro.



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