lunedì 22 luglio 2024

Osvaldo Soriano, Stan Laurel, Marlowe e il figlio di Butch Cassidy

Solo ad un genio poteva venire in mente l'idea di scrivere un romanzo giallo nel quale il famoso detective Philip Marlowe, personaggio creato dalla penna di Raymond Chandler, viene incaricato da Stan Laurel, cioè lo Stanlio della famosissima coppie, di ritrovare il suo amico scomparso Ollio.

Quel genio rispondeva al nome di Osvaldo Soriano, nato a Mar del Plata nel 1943, figlio di Aracelis Lora Mora e Alberto Franca, un catalano ispettore di Obras Sanitarias (l’azienda incaricata del servizio di acqua potabile in Argentina), passò la sua infanzia insieme alla famiglia girando per l’Argentina, di paese in paese per le diverse province, seguendo il destino lavorativo di suo padre.
Fu metallurgico, raccoglitore di mele prima di iniziare il suo pellegrinaggio tra i giornali. 
Compiuti 26 anni, si trasferì nel 1969 da Tandil a Buenos Aires per entrare nella redazione della rivista “Primera Plana” per poi, nel 1971, entrare a far parte della redazione del nascente quotidiano La Opinión, un giornale che intendeva rivolgersi alla borghesia liberale e di sinistra.
Alla passione per il giornalismo Soriano, o "El Gordo", come era chiamato per la sua stazza, affiancava quella per il calcio, mostrando un non comune talento di attaccante.
Fu lo stessi Soriano a raccontare di aver segnato una rete in una partita arbitrata dal genitore:

"Mio padre non sapeva che doveva indicare il centrocampo, e si avvicinò per domandarmi sottovoce: “Giurami che non l’hai toccata con la mano”. L’ho guardato in faccia: “Te lo giuro”, gli ho risposto. Sudava come un facchino, aveva i pantaloni stracciati e le scarpe tutte rovinate. Ho immaginato che mia madre si sarebbe messa a urlare quando saremmo tornati a casa."

Le vicende del giornale però si intrecciarono ben presto con quelle della politica e con il tentativo di eliminare dal giornale qualsiasi collaboratore di sinistra.
Per sei mesi di seguito, fino al 1974, a Soriano non fu più concesso di pubblicare una sola riga, e fu proprio  in questo contesto che egli decise di scrivere dei racconti in cui ricostruiva la vita dell’attore inglese Stan Laurel.
Quei racconti si trasformarono ben presto in un romanzo: Triste, solitario y final, una affettuosa e struggente parodia, ambientata a Los Angeles con protagonista Philip Marlowe, non priva di inattesi colpi di scena.
Sette anni dopo il primo incontro, Marlowe si reca in visita sulla  tomba di Stan Laurel, dove incontra un uomo grassoccio, uno scrittore argentino che dice di chiamarsi Osvaldo Soriano e di essere arrivato a Los Angeles per scrivere un romanzo su Stan e Oliver.
Tra i due scatta quasi immediata, se non una simpatia, certo una sorta di empatia. Intimidito dall’iperefficienza del Nord America, Soriano scopre in Marlowe una possibilità diversa di vivere ed essere. Quest’ultimo, fedele al suo personaggio, continua a portare avanti la sua battaglia, a suon di sarcasmo e parole taglienti, contro il grande mito ipocrita degli Stati Uniti d’America. Alla commedia di Laurel e Hardy si contrappone l’altra commedia, quella che non fa affatto ridere, e nella quale Marlowe rappresenta il cinico disincantato, il ribelle che fa la fame, colui che non si presta al gioco:

“Non ha capito? Sono stanco di tutta questa commedia. Non voglio guadagnare denaro in questa cloaca. È inutile affannarsi. Non c’è nulla da difendere. Credo che non ci sia mai stato. Adesso tutti quanti hanno un morto in famiglia e chi non ce l’ha è solo come un cane. Questo paese è stato sommerso dalla merda già da molti anni, ma la gente diceva che l’odore che si sentiva era di margherite di campo.”

Nel 1976, in seguito al colpo di stato, Soriano abbandonò l’Argentina e si recò prima in Belgio e poi a Parigi, dove rimase fino al 1984.

"La cosa dannosa del fascismo – dirà – è che induce gli imbecilli a credersi molto furbi. Quanto più uno è idiota, tanto più il fascismo lo fa sentire orgoglioso di sé".


La passione per il calcio lo portò ad orientarsi verso il giornalismo sportivo. mestiere che egli però interpretò in un modo del tutto suo, lontano anni luce dai canoni stabiliti.

"Non amo lavorare troppo, né correre per i corridoi di uno stadio, né forse capisco di sport quanto l’incarico richiederebbe. Ma so inventare storie bellissime."

Ed in effetti le storie di calcio raccontate da Osvaldo Soriano sono quanto di più bello possa essere stato scritto su questo sport, storie nelle quali egli usa personaggi presi in prestito dalla vita, giusto il tempo di una partita, “fantasmi che vengono fuori da un posto qualunque“. Improbabili, imperfetti individui persi ad inseguire la Rubia Ferreira o a correre tra le braccia della Gorda Zulema. Sono cowboy raminghi, come William Brett Cassidy, il figlio di Butch Cassidy che, nel tentativo di raggiungere gli Stati yankee che diedero fama al padre, si diletta ad arbitrare partite improbabili, come il famoso Mondiale del 1942.


Questo racconto, intitolato "Il figlio di Butch Cassidy" e contenuto nella raccolta "Pensare con i piedi", assume toni assolutamente fantastici, tali da rendere verosimile l'ipotesi che i fatti narrati si siano effettivamente verificati.

"I Mondiali del 1942 non figurano in nessun libro di storia, ma si giocarono nella Patagonia argentina".

Nel 1942 il mondo è dilaniato dal secondo conflitto mondiale che, tra le sue conseguenze, ha anche quello di azzerare tutte le competizioni calcistiche tra il 1939 ed il 1950. In quel periodo però si tentò di dare comunque vita ad un Mondiale in Argentina, precisamente nel 1942, prima ufficialmente e poi in maniera totalmente amatoriale. visto che gli organi ufficiali della FIFA non lo hanno mai riconosciuto.
La leggenda però vuole che il mondiale si svolse davvero.
Ma il corso della storia cambia drasticamente quando, nei primi anni 2000, vengono ritrovati i resti di un uomo negli scavi archeologici di Villa El Chocon, nella Patagonia Argentina nei pressi di Barda del Medio (provincia di Neuquen) proprio dove, prima della metà del ‘900, ci fu una forte concentrazione di immigrati impegnati nella costruzione di una grande diga.
Quell’uomo era Guillermo Sandrini, ed il suo scheletro viene rinvenuto abbracciato alla sua macchina fotografica, con ancora i rullini all’interno. E’ proprio questa la svolta narrativa del Mondiale Dimenticato, infatti in quei rullini sono impressi dei fotogrammi diventati un documento dal valore storico sportivo davvero inestimabile: proprio le immagini del Campionato del Mondo di Calcio giocato in Patagonia nel 1942.


Osvaldo Soriano, nel suo racconto, ci scrive dei ricordi del vecchio zio, tale Casimiro, che in quel mondiale dimenticato sembra essere stato ingaggiato come guardalinee di un arbitro che è tutto un programma: William Brett Cassidy.
Figlio del pistolero Butch Cassidy scappato dalle praterie del Nord America fino in Patagonia, è lui stesso disertore dell’esercito argentino oltre che un fuggiasco dalla giustizia.
La leggenda vuole che si guadagnasse da vivere arbitrando partite in Patagonia, con la pistola al posto del fischietto, perché di calcio sapeva poco ma era veloce con la rivoltella, come suo padre. Fu l’arbitro più importante di quel torneo.

Sempre in bilico tra realtà e una fantasia venata di magia, Soriano scrive di guerre, lotte di classe e riscatti sociali con la stessa leggerezza dei grandi scrittori che parlano delle cose del mondo senza emettere giudizi e trasformando il calcio nella metafora “della presuntuosa grandezza e dell’amara miseria” dell’Argentina, narrandone soprattutto il lato romantico, quello che era una volta e che oggi non è più.

Eduardo Galeano, altra grande voce del continente sudamenricano, raccontava una storia, giurando sulla sua veridicità.

 Una tale Gabriela stava portando dei fiori sulla tomba di suo fratello Javier nel cimitero di Chacarita, a Buenos Aires, quando per caso scoprì la tomba di Soriano. 

Qui vengono un sacco di tipi strani. Se le potesse vedere… se le raccontassi – le fa il becchino.
E le raccontò.
 Le raccontò di tipi strani che si mettevano a girare attorno alla tomba, e chiacchieravano. E – non c’è proprio più rispetto – ridevano!
Gli lasciano anche delle lettere. Gli seppelliscono dei bigliettini! Le pare possibile?-
E così dicendo, soddisfatto della sua denuncia, il becchino si allontanò. Gabriela rimase sola, ringraziò l’umorismo demistificante e profondo dello scrittore.
Il becchino era ormai lontano e non potè sentire la voce del Gordo Soriano che, dal profondo, sussurrò: 
– Scusa, eh, se non mi alzo…-

Soriano amava il tango e Gardel, il cinema (Buster Keaton, Stanlio e Ollio), il pugilato, i gatti, il Che, il giornalismo civile, il San Lorenzo (la stessa squadra di papa Francesco), scoprì una passione, seppure tardiva, per Diego Armando Maradona, avrebbe voluto celebrare degnamente Emilio Salgari, che in Sudamerica rimane un autore di riferimento, portò alla luce i sobborghi, gli ultimi, gli invisibili.

Nel luglio del 1990, durante i Mondiali organizzati in Italia, Osvaldo Soriano, accompagnato da Gianni Minà, si reca a Trigoria, dove era il ritiro dell'Argentina, incontrando Diego Armando Maradona.
Lo scrittore si sciolse davanti al calciatore che incantò lui e Minà palleggiando, per minuti che sapevano di eternità, con un’arancia.
"Secondo voi l’ho toccata anche con il braccio?", chiese “El Diego”, e i due ingenuamente risposero in coro: "No"
Maradona divertito, con quel proverbiale sorriso da simpatica canaglia li smentì: "E invece sì! Come avrebbe potuto allora accorgersene quel povero arbitro tunisino di Argentina-Inghilterra nell’86 quando segnai il primo gol aiutandomi con la mano... la mano di Dio?"
Soriano stregato, restò a cena e tirò fino a mezzanotte con “El Diego” parlando di vita, di tango, di letteratura e d’Argentina, e rincasando confessò a Minà: "Gianni, poche volte mi sono sentito così allegro in vita mia".

Morì a Buenos Aires il 29 gennaio del 1987, a 54 anni, per un cancro ai polmoni.

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