E' il 1979, a Dicembre Margaret Thatcher sta festeggiando la sua vittoria elettorale, quando viene pubblicato il terzo album della band, quel "London Calling", disco destinato a diventare uno dei dischi più importanti dell'intera storia del rock, e che rappresenta un vero e proprio attacco contro l’Inghilterra perbenista e bigotta, senza risparmiare niente e nessuno: dalla catastrofe nucleare al fascismo internazionale, dalla violenza criminale alle condizioni urbane.
Tutto ciò viene messo in atto non più utilizzando il rozzo punk nichilista degli esordi, in quanto ora è giunto il momento di ricostruire.
Dopo la "London's burning" del disco d'esordio ora è "London Calling", "Londra sta chiamando, la guerra è stata dichiarata. L’età del ghiaccio sta arrivando, il sole sta zoomando sopra”. L'appello di Strummer non potrebbe essere più pieno di fervore e passione, scandito dal martellante ritmo del brano iniziale.
La band abbandona la velocità dei tre accordi in favore di un’abbondanza stilistica racchiusa in due Lp che, per la ricchezza e varietà dei temi musicali, non è azzardato accostare a capolavori come "Exile on Main Street" dei Rolling Stones.
E' come se i Clash, forse resisi conto di aver troppo accellerato, avessero deciso di tirare il freno, iniziando a ripercorrere i sentieri del rock and roll, come avviene nel brano "Brand new Cadillac", una scatenata rivisitazione del classico rockabilly di Vince Taylor.
Prodotto da Guy Stevens, il disco provocò non pochi malumori nella frangia più oltranzista dei vecchi fans, che si mobilitarono per mettere in atto una feroce contestazione.
Si narra che un punk, dopo un concerto in Svezia, ferma Strummer e gli urla in faccia che “il nuovo disco piace anche a sua nonna”.
Nessuno, in realtà, sembra voler capire il senso di London Calling: il rock and roll di “Koka Kola” non è un inno al capitalismo, il doppio disco costa quanto un singolo e, soprattutto, i Clash non hanno nessuna intenzione di diventare un gruppo americano.
A dimostrazione di ciò, la band partecipa all’iniziativa benefica del “Concert for the people of Kampuchea” e organizza un concerto clandestino alla Acklam Hall di Londra nel giorno di Natale per omaggiare la vecchia comunità della Westway.
E’ vero che il singolo “London Calling” arriva al numero undici delle classifiche inglesi e il “Times” definisce i Clash “una delle prime cinque rock band più grandi di tutti i tempi”, ma Strummer e soci non perdono di vista il cuore di tutta la loro arte: suonare per divertirsi e per lanciare un messaggio importante a ogni singolo essere umano.
La passione è l’arma in più dei Clash che, così, si distaccano nettamente dall’approccio al reggae più freddo e borghese dei Police di Sting. “Chi si fotte le suore entrerà nella chiesa”: il rock and roll epico di “Death Or Glory” non potrebbe parlare in maniera più diretta.
La voce dei Clash arriva immediata, irriverente e, soprattutto, suona come un melting-pot unico nel variopinto mondo del rock. L’approccio enciclopedico perde i suoi connotati pedanti e didascalici e acquista un tono divertente di splendida fusione tra vecchio e nuovo.
Ciò confermato anche dalla splendida copertina che, oltre a raffigurare Paul Simonon che distrugge il suo basso, presenta la medesima grafica del primo Lp di Elvis Presley.
Impossibile schivare la tentazione di iniziare un classico gioco dei rimandi quando parte il piano di “The Card Cheat”, che si trasforma, progressivamente, in un’imponente ballata gospel memore del “wall of sound” spectoriano.
Citazioni che, tuttavia, saltano completamente quando parte lo straordinario pop di “Train In Vain” che mescola la leggenda di Robert Johnson con “Stand By Me” di Ben E. King, che vortica su se stesso accompagnato dall’armonica calypso e trascina tutto e tutti verso la fine del disco. Il brano sfuma lentamente e, in questo, è completamente diverso dall’album di cui fa parte.
London Calling è, infatti, il lavoro che trasforma i Clash in leggenda e che regala alla musica rock un’esperienza irripetibile.
A gennaio del 1980 la band dà inizio ad un nuovo tour americano che si rivela un grande successo, registrando molti sold-out e attirando consensi sempre più entusiasti di critica e pubblico. Strummer e compagni vivono un momento di fama e creatività e così decidono di registrare altri brani agli Electric Ladyland Studios di New York.
Amanti dei sobborghi metropolitani, i Clash prendono dimestichezza con il rap e, trascinati dal nuovo mentore Mickey Dread, si calano sempre più nelle sonorità profonde del dub. E’ il momento di un altro bagno creativo in Giamaica dove la band registra pillole del nuovo materiale negli studi Channel One e, soprattutto, ai Black Ark Studios, famoso tempio di Lee Perry nel quale non è mai entrato un gruppo bianco prima d’ora.
A maggio i Clash tornano in patria per proseguire il tour in Europa e trovano i vecchi fan ancora sul piede di guerra. Il punk, sempre più serrato e tirato, si è trasformato progressivamente nell’hardcore e Strummer arriva a un punto cruento di rottura ad Amburgo, fracassando la sua chitarra sulla testa di uno skinhead.
Il 1 giugno dello stesso anno, il tour toccherà anche l'Italia, e precisamente in Piazza Maggiore a Bologna.
Io non ero presente e per questo, al fine di rendere meglio l'atmosfera di quella notte, prendo a prestito il racconto riportato dal giornalista Arturo Compagnoni, o meglio da un suo amico:
“Domenica 1 giugno 1980, ore 16 circa, stiamo andando a prendere l’autobus per andare in piazza Maggiore dove i Clash suoneranno un concerto gratuito. Il concerto doveva essere domani, ma poi all’ultimo momento è stato spostato a oggi, per fortuna siamo di Bologna e il cambio data non ci tocca. Per il mio compleanno, pochi giorni fa mi è stato regalato London Calling e l’ho già consumato. Non conosco altre loro canzoni a parte quel disco e Tommy Gun. Spero comunque suonino Death Or Glory, una delle mie preferite.
Arriviamo in piazza e c’è già parecchia gente, riconosco Enrico Ruggeri, il cantante dei Decibel, che con i suoi pantaloni a strisce bianche e blu si aggira davanti al palco, con i capelli biondo platino e i suoi famosi occhiali. Mi accorgo che su un tavolo ci sono dei poster del concerto, ne acchiappo subito uno e lo metto nel tascapane assieme al registratore che mi sono portato per registrare il concerto.
Prendo anche un volantino che i RAF Punk stanno distribuendo per contestare i vecchi e venduti Clash e l’operazione del Comune, messa in piedi per accattivarsi i giovani dopo i fatti del 1977, in vista delle prossime elezioni comunali. Un roadie dei Clash prova la batteria e tutti si guardano in faccia, perché il volume è veramente alto. Il presentatore, Michael Pergolani inviato a Londra per L’Altra Domenica di Renzo Arbore annuncia il primo gruppo: si chiamano Cafè Caracas, sono un trio italiano tipo Police. L’ostilità nei loro confronti è veramente alta.
Sputi, insulti, addirittura uno di fianco a me lancia una lattina di birra chiusa al cantante. Lo manca in faccia di un niente e il tipo che ha lanciato la lattina si rammarica tanto di non avere fatto centro. Finiscono la loro esibizione con una cover punk di Tintarella di Luna, con il cantante che insulta pesantemente il pubblico.
Arriva il secondo gruppo spalla, sono inglesi, si chiamano Whirlwind, la risposta del pubblico è la stessa: sputi e insulti. Ora aspettiamo che arrivino i Clash.
Il tempo passa, il reggae e il dub continuano a girare nell’impianto, ma dei Clash neanche l’ombra. Finalmente verso le 22.30 Michel Pergolani, tra una marea di sputi, annuncia che, dopo una lunga attesa finalmente i Clash saliranno sul palco.
Sono un po’ diversi da come ce li aspettavamo, soprattutto Joe e Paul che hanno i capelli molto corti, praticamente skinhead. Ci rendiamo subito conto di una cosa però: manca Topper alla batteria, lo sostituisce il tipo del gruppo spalla.
L’orologio del Palazzo Comunale, piazzato proprio sopra il palco, scandisce le 23 quando sale Topper Headon. Il concerto decolla, Joe che si tiene spesso il braccio a coprire gli occhi, Mick come un folletto che a un certo punto si prende uno sputo che sembra una secchiata d’acqua, Paul con tanto stile e Topper, una macchina infernale dietro i tamburi. Sto attento perché sta finendo la cassetta con cui sto registrando il concerto e infatti il nastro si ferma proprio quando i Clash attaccano la mia preferita: Tommy Gun. Finisce anche il concerto, la piazza comincia a svuotarsi. Ma all’improvviso i Clash tornano sul palco e suonano altri 2 pezzi per la gente rimasta: Capital Radio e White Riot.
Alla fine i Clash quella sera non hanno suonato Death Or Glory come speravo.
Il cantante dei Cafè Caracas avrebbe fatto carriera con il nome di Raf mentre il chitarrista, Ghigo Renzulli, avrebbe poi formato i Litfiba”.
Dopo la pubblicazione del mini lp "Black Market Clash" nel quale vecchie sonorità si accompagnano a quelle caraibiche, ormai perfettamente padroneggiate dai musicisti, la band inizia le sessioni di remixaggio dei nuovi brani registrati tra New York e Kingston, ancora una volta insieme a Mickey Dread e con l’ingegnere di London Calling, Bill Price.
Il lavoro in studio è molto faticoso e, per circa un mese, assorbe tutta l’energia creativa di una band che sta spremendo completamente la propria anarchia artistica.
E’ lo stesso Strummer che spiega il perché di un simile, mastodontico lavoro:
“Probabilmente sul nuovo album siamo partiti in 36 diverse direzioni. Non eravamo sicuri di dove volevamo andare con tutte quelle canzoni. Infatti all’inizio doveva essere un classico album doppio; poi, quando tutto il materiale venne definito, decidemmo per il triplo, senza rinunciare a niente di ciò che avevamo suonato”.
Quelle 36 direzioni si trasformeranno poi in quello che sarà un altro monumento: il triplo "Sandinista".
(2 - continua)
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