venerdì 26 luglio 2024

Peter Norman, un eroe dimenticato


Nel giorno di inaugurazione delle Olimpiadi di Parigi, voglio riportare indietro le lancette del tempo per ricordare un uomo che, con la sua semplicità, con il suo coraggio, inconsapevolmente si è visto catapultare sul palcoscenico della storia, pagando però un caro e ingiusto prezzo per le sue azioni.


Siamo alla vigilia delle Olimpiadi di Città del Messico, è il 1968, l'anno della contestazione giovanile, delle rivendicazioni sociali, l'anno della Primavera di Praga e della sua successiva repressione da parte dell'Armata Rossa, dell'assassinio di Robert Kennedy e di Martin Luther King.
Proprio per manifestare il proprio appoggio al clima di contestazione, solo 10 giorni prima della cerimonia di apertura di quei giochi olimpici, il 2 ottobre del 1968, 15.000 studenti di varie università di Città del Messico marciarono per le vie della città, protestando contro l'occupazione del campus. Al calare della notte 5.000 studenti e lavoratori, molti dei quali con la propria famiglia, si raccolsero nella Plaza de las Tres Culturas di Tlatelolco.
Alla fine della giornata le forze militari e politiche con mezzi blindati e veicoli da combattimento circondarono la piazza e aprirono il fuoco, puntando sulle persone che protestavano o che semplicemente passavano di lì. In breve tempo una massa di corpi coprì la piazza. Fra i feriti anche la scrittrice fiorentina Oriana Fallaci, che si trovava in un grattacielo sovrastante la piazza per controllare le azioni fra manifestanti e forze dell'ordine. 

Piazza delle Tre Culture

Il massacro continuò tutta la notte, i soldati si accamparono negli appartamenti vicini alla piazza. Testimoni riferirono che i corpi furono spostati con camion dell'immondizia. La spiegazione ufficiale fu che facinorosi armati incominciarono a sparare verso le forze dell'ordine che per difesa personale risposero al fuoco. I media di tutto il mondo diffusero le immagini e pubblicarono la notizia dello scontro violento tra studenti e forze dell'ordine.
Il bilancio degli scontri di Piazza delle tre culture che precedettero l’Olimpiade, conosciuti come il “massacro di Tlatelolco”, dal nome del quartiere in cui si trova la piazza, fu devastante: oltre 300 morti, più di 1.000 e arresti e almeno 25.000 colpi sparati.
In tale clima, che ricorda in maniera agghiacciante quanto poi accaduto 21 anni dopo, nel 1989, a Piazza Tienamen, vennero inaugurati i Giochi, che si svolsero senza particolari intoppi sino al 16 ottobre, quando era in programma la finale dei 200 metri piani, gara alla quale partecipavano gli statunitensi Tommie Smith e John Carlos, atleti entrambi di colore, e l'australiano Peter Norman, di pelle bianca.
Figlio di una famiglia operaia bianca di Melbourne, Norman aveva dedicato i 3 anni prima di Messico ’68 al perfezionamento della sua tecnica sui 200 metri. Il suo lavoro incessante gli aveva permesso di scalare le gerarchie nazionali e staccare il biglietto per le Olimpiadi. Era consapevole delle proteste mondiali che stavano montando in quegli anni, ma il suo sguardo si concentrava interamente sulla finale dei 200. Né troppo alto (178 cm) né troppo muscoloso (73 kg), privo di qualsiasi dono o predisposizione naturale allo sprint, era uno specialista nello sfruttare un preciso tratto di pista, che per qualche strano motivo lo faceva accelerare molto di più dei suoi avversari.
Norman soffriva le partenze, non era mai stato un prodigio di esplosività e reattività. 
Ma una volta stabilizzata la sua falcata, riusciva a raggiungere un’altissima velocità lungo la curva della pista, dove solitamente recuperava il terreno perso in avvio. Tuttavia, in vista di Messico ’68, i suoi risultati non sembravano poter impensierire il dominio targato Smith-Carlos, che alle selezioni avevano tagliato il traguardo in 19’’ 6 e 19’’ 7. Il record personale di Norman era un pallido 20’’ 50. Ma oltre alle due stelle americane, la speranza di una medaglia si sbiadiva sempre di più considerando la concorrenza presente ai blocchi di partenza, composta tutta da atleti di alto livello, i cui tempi personali erano inferiori al suo.

All’ingresso dell’ultima curva, Carlos si trovava in testa, davanti a Smith. Norman era parecchio distaccato, e stava lottando per la quinta posizione. Poi una parabola perfetta, un’accelerazione capace di disarmare tutti i suoi avversari; tutti tranne Tommie Smith, che si involò verso quello che allora valeva come il record di sempre sui 200 metri. A una manciata di metri dalla linea d’arrivo, la falcata di Carlos si era sfilacciata. Esausto, l’americano cedette l’argento a Norman.


Terminata la gara, calata l'adrenalina, Tommie Smith e John Carlos, consapevoli del fatto di rappresentare una nazione che discriminava la gente di colore e che  assassinava leader come Martin Luther King, decidono di mettere in atto una clamorosa protesta, scoprendo che, inaspettatamente, Peter Norman, il piccoletto bianco, manifesta la sua solidarietà alle loro rivendicazioni, consigliandogli anche di indossare ognuno un guanto nero, visto che Carlos aveva dimenticato i propri.
Nel tunnel che li portava alla premiazione, Norman vide i due afroamericani con appuntata sulla tuta un simbolo dell'Olympic Project for Human Rights,  il Progetto olimpico per la difesa dei diritti umani, un’organizzazione fondata nel 1967 in segno di protesta contro la segregazione razziale negli Stati Uniti.
Ne chiese una anche per sé, dicendo ai suoi nuovi amici: "Sto dalla vostra parte".
I tre salgono sul podio con i due atleti di colore che, dopo la consegna delle medaglie, al momento dell'inno americano, calano il capo alzando il pugno guantato in segno di protesta, suscitando il disappunto del pubblico presente, che iniziò ad inveire rumorosamente.
Nella successiva conferenza stampa Tommie Smith spiegò quel gesto:

"Oggi abbiamo vinto delle medaglie e ricevuto applausi. Ma i bianchi credono che noi siamo delle bestie. Quando abbiamo manifestato sul podio, abbiamo visto dei bianchi girare il pollice verso il basso. Ci considerano come degli animali da circo, a cui spettano solo noccioline o colpi di fucile".

E John Carlos riprese il discorso:

"Voi tutti, giornalisti, siete molto coinvolti mentre sono in pista, ma una volta uscito ritorno a essere un negro, e non mi rivolgereste nemmeno la parola".

Nei giorni immediatamente successivi, entrambi gli statunitensi vennero esclusi dai Giochi, vedendo poi irrimediabilmente compromesso il loro futuro sia di atleti che di uomini: lettere minatorie, minacce di morte, falsi biglietti d’aereo che vedevano impressi i loro nomi e la solita destinazione: Africa.
Destino apparentemente diverso toccò a Peter Norman.
La stampa australiana lodò il gesto dell’atleta nel periodo immediatamente successivo all’Olimpiade messicana, ma negli anni seguenti il velocista osservò le vere conseguenze della sua presa di posizione. Norman iniziò a essere praticamente ostracizzato dalla federazione australiana. 
Nonostante avesse registrato un tempo idoneo, sia nei 100 che nei 200 metri, per prendere parte alla successiva Olimpiade di Monaco del 1972, il Comitato Olimpico Australiano decise di non mandare alcun velocista in Germania piuttosto che far partire anche Norman con la squadra.
Ma il boicottaggio nei confronti di Peter Norman non si limitò a questo: riuscì a trovare solo occupazioni saltuarie, senza ottenere mai il posto fisso come insegnante di ginnastica, e dandosi all'alcool.
Solo alla vigilia dell’Olimpiade di Sidney del 2000, qualcuno del Comitato Olimpico australiano si è ricordato di lui: zoppicando, ha portato la Fiaccola per un breve tragitto.
Però i biglietti per assistere alle gare dovette comprarseli.
Morì nel 2006, a causa di un infarto.
Al suo funerale, in prima fila, c'erano i suoi due vecchi amici, Tommie Smith e John Carlos.





Nessun commento:

Posta un commento

Blade Runner

È del tutto normale che un film dedicato alla replicazione debba esistere in più versioni. Non esiste un Blade Runner , ma ben sette. Sebben...