venerdì 26 luglio 2024

Stanley Kubrick - L' epopea di un grande visionario - Parte 2


Da una New York povera, decadente e ingombra di spazzatura, Kubrick passa a descrivere, nel suo primo lungometraggio “Rapina a mano armata" (1956), l’impresa di alcuni poveri gangster, che finisce per insipienza in una strage collettiva. Il regista smonta definitivamente le tipologie del gangster movie, mostrando dietro la figura mitizzata del bandito l’esistenza di uomini del tutto comuni, brutali, stupidi, incompetenti o malinconici e, nella singolare forma narrativa usata, che si sposta continuamente nel tempo intrecciando e invertendo l’ordine cronologico degli eventi, mette anche a nudo i procedimenti tradizionali della suspense in modo che lo spettatore si soffermi più sull’atto del narrare che sulla storia raccontata. 
“Rapina a mano armata” è quindi, oltre che un film di genere, anche un film sul genere gangster.
In “Orizzonti di Gloria” (1957), film di guerra ma anche film sulla guerra, Kubrick elabora la sua prima grande requisitoria contro l’Occidente: denuncia con amaro sarcasmo l’ipocrisia e il cinismo del potere e il comportamento tribale degli uomini. 
L’assalto disperato e inutile scatenato da un generale ambizioso e irresponsabile contro un’imbattibile postazione tedesca, il "formicaio", si risolve in un orrendo massacro cui fa seguito la fucilazione di tre soldati scelti a caso, per punire il fallimento dell’impresa.


L’esecuzione assume l’aspetto di un grande spettacolo che non a caso si svolge la mattina all’alba, dopo una festa galante nelle sale del castello, come a sottolineare che non c’è niente di più confortante per l’uomo occidentale che vedere morire i propri simili. 
Anche il successivo “Spartacus” (1960) mostra come la guerra sia spettacolo più che azione. 
La scena della battaglia, che contrappone la geometria fredda, impersonale e intimidatoria delle legioni romane all’anarchia, alla fantasia e alla forza disperata degli schiavi ribelli, sembra esprimere la ribellione contro l’ordine costituito, la lotta della libertà contro l’obbedienza, della differenza contro l’uniformità.
Nel film “Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba”, (1964), la guerra non è che un’occasione per mostrare le isterie di un generale statunitense e l’infantilismo dei politici, e per contrapporre loro la più acuta parodia della scienza che il cinema abbia mai conosciuto; il dottor Stranamore.
Ex scienziato tedesco emigrato negli Stati Uniti, è un personaggio che rappresenta il chiaro filo di continuità fra la Germania nazista e la grande democrazia statunitense, accomunate da un progetto isterico di dominio e da un folle desiderio di distruggere tutto quello che non si uniforma al loro modello.
E’ forse il film maggiormente “politico” di Kubrick, e allo stesso tempo quello al quale il regista applica il registro maggiormente comico e satirico di tutta la sua filmografia, coadiuvato in questo da uno straordinario Peter Sellers, capace di interpretare tre ruoli diversi, e cioè Il Presidente Muffley, il Capitano Lionel Mandrake e il dottor Stranamore.
Tutto il film è infarcito di allusioni sessuali più o meno esplicite che orientano la lettura del film in direzioni molteplici o almeno non univocamente verso una interpretazione esclusivamente politica. 
O meglio, la capacità di Kubrick di toccare questi temi, gli aveva permesso di interpretare le questioni politiche in chiave quasi esclusivamente sessuale, nel senso di un loro intreccio inscindibile e che diventa paradossalmente vero perfino nella cronaca quotidiana.
L’ironia di Kubrick, gioca proprio su queste ossessioni che tanto più diventano pervasive e maniacali, da essere morbose, tanto più denunciano poco mascherate défaillances sessuali. È quindi la guerra, la bomba con il suo potenziale distruttivo e gli altri aggeggi bellici che bene si atteggiano a simboli sessuali dichiarati, a fare le veci, in questo campo, di una classe militare e politica ridicolizzata, incapace di qualsiasi soddisfacente prestazione.
È il generale che scatenerà la catastrofe che accusa le donne e i comunisti di avvelenare i suoi “fluidi vitali”. Il mondo si trova così, tra telefonate che sembrano uscite dalla commedia dell’arte mentre si trattano questioni importantissime: “Dimitri puoi abbassare il volume del giradischi …” dice più o meno il presidente americano al capo di stato russo, nelle grinfie di un esaltato scienziato ex nazista assoldato dalla democrazia americana per la soluzione del conflitto, divorato da un anticomunismo contagioso e liberato nel finale, con una invocazione al fuhrer, dalla sua paraplegia.

La giostra dei contrari continua con quello che è stato spesso considerato il capolavoro di Kubrick, "2001: Odissea nello spazio", dove il conflitto fra l’uomo e la macchina produce uno scambio d’identità.
Mentre il computer HAL 9000, con la sua rivolta fallita assume alla fine quasi un volto umano, lo sguardo dell’astronauta David Bowman appare sempre più freddo e assente.
Famosi sono i tempi lunghissimi del balletto delle astronavi, il pezzo di autentico cinema sperimentale inserito nella parte finale per descrivere l’arrivo sul pianeta sconosciuto, e il finale, con triplice salto di Bowman attraverso il tempo, dalla giovinezza alla maturità alla vecchiaia, per poi rinascere come ‘feto astrale’.
Anche qui Kubrick, che si è ispirato visibilmente, per la creazione di HAL 9000, al film di Jean-Luc Godard "Alphaville" (1965), persegue una concezione del cinema come ‘pensiero visivo’, coniuga il grande spettacolo e la ricerca fotografica con la riflessione filosofica sulla storia dell’uomo.
I tempi estenuanti che la cinepresa impiega a descrivere la vita a bordo dell’astronave Discovery rivelano l’appartenenza di questo film al cinema moderno, che cerca sempre di dare allo spettatore il tempo di riflettere con distacco su quello che vede, invece di trascinarlo dentro la storia raccontata.
È impossibile ignorare la forza ispiratrice che "2001: Odissea nello spazio" ebbe sulla cultura di massa e sulla società stessa, di cui il film diventa vera e propria proiezione: non bisogna dimenticare, infatti, che gli anni in cui viene realizzata la visionaria pellicola sono quelli della corsa allo spazio e della preparazione all’allunaggio, un sogno tanto anelato dall’umanità che verrà realizzato nel successivo 1969.
Il suo eco è arrivato sino ad oggi, nella routine di un Occidente attualmente affiancato dai vari assistenti vocali (Siri, Google, etc.), che, paurosamente somiglianti a HAL9000, si ispirano apertamente all’immaginario kubrickiano.


Proprio la tecnologia fu uno dei primi campi ad essere influenzati dal capolavoro del regista.
La stessa Apple, per esempio, ha ammesso numerose volte di essere stata ispirata, durante la realizzazione dell’iPad, dalla pellicola di Stanley Kubrick, dove veniva dipinta una Discovery costellata di strumenti all’epoca inusuali, di moderni dispositivi che avrebbero dominato la quotidianità occidentale a distanza di qualche decennio dall’uscita del film.
L’esperienza visiva kubrickiana, mistica ed illuminante, sconvolse l’intero paesaggio filmico: sarebbe impensabile trascurare l’influenza che ebbe non solo sul genere fantascientifico, ma sull’evoluzione che il Cinema ha subito a partire dal 1968, anno della sua uscita.

(2 - continua)

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