Il 1 maggio 1991 un gruppo di giovani studenti, lavoratori e disoccupati, occupano uno stabile abbandonato da circa 15 anni, ubicato nel quartiere Gianturco di Napoli, alla Via Carlo di Tocco 99, zona periferica e industriale di Napoli caratterizzata da un profondo degrado urbano e sociale, con l'intento di trasformarlo in un Centro Sociale Autogestito.
Inizialmente, il centro sociale viene fondato come risposta alla mancanza di spazi per la socializzazione e la cultura giovanile in città. In un contesto segnato dalla disoccupazione di massa, dall’emarginazione sociale e dall’avanzata della criminalità organizzata, il collettivo di Officina 99 decide di sottrarre un edificio abbandonato all’incuria e di restituirlo alla comunità.
La fondazione di Officina 99 si collocò nel solco delle esperienze dei centri sociali autogestiti, che in quegli anni proliferavano in tutta Italia e che a Napoli ebbe la sua prima testimonianza nel 1989, con il Centro Sociale Tien'a'Ment, creato nell'immediatezza dei fatti della Piazza Tienamen di Pechino, teatro della repressione della protesta studentesca da parte del regime cinese, il cui nome giocava proprio con l'assonanza tra la suddetta piazza, e l'omonimo detto dialettale il cui significato era "Ricorda".
Napoli, con le sue profonde contraddizioni, era un terreno fertile per il fermento politico e culturale che animava il movimento.
Gli attivisti di Officina 99 si ispirano ai principi dell’autogestione, dell’antifascismo e dell’anticapitalismo, rifiutando ogni forma di autorità imposta dall’alto e promuovendo un modello di organizzazione orizzontale e inclusiva.
Fin dai suoi primi anni, Officina 99 si distinse per la vivacità della sua programmazione culturale, con concerti, mostre, proiezioni cinematografiche, presentazioni di libri e workshop artistici che diventarono il cuore pulsante della vita del centro sociale così come del quartiere.
Officina 99 diventò presto un punto di riferimento per la scena alternativa napoletana e italiana ospitando, tra gli anni ’90 e i primi 2000, concerti ed eventi memorabili, ai quali parteciparono registi come Mario Martone e Gabriele Salvatores e artisti come i Marlene Kuntz ed Enzo Avitabile.
È sullo sfondo di questo fermento culturale che nascono all'interno del centro sociale, i 99 Posse, i cui membri Luca Persico e Giampiero Da Dalto furono fra i primi occupanti della struttura, band che prese il nome proprio dal centro sociale e che diventò simbolo della controcultura napoletana.
Con i loro testi politicizzati, i 99 Posse veicolarono messaggi di lotta contro le disuguaglianze sociali, il razzismo e il potere costituito, dando voce alle istanze di un’intera generazione.
Officina 99 si affermò anche come laboratorio di sperimentazione artistica. Grazie al lavoro collettivo dei suoi attivisti, gli spazi vengono trasformati in gallerie d’arte, teatri e sale di registrazione. Queste attività non solo attraggono giovani talenti, ma contribuiscono anche a costruire un’identità culturale alternativa per Napoli, sfidando i modelli imposti dal mercato e dalle istituzioni.
Oltre alla dimensione culturale, Officina 99 è stato un centro nevralgico di lotta politica, con i suoi attivisti che si sono impegnati su diversi fronti, facendo dell’azione diretta uno strumento fondamentale per rivendicare diritti e giustizia sociale, avviando battaglie contro la speculazione edilizia, l’abbandono delle periferie, la precarizzazione del lavoro e la militarizzazione del territorio.
Una delle campagne più significative condotte dal collettivo è stata quella contro la costruzione di grandi opere inutili e dannose per il territorio, come il progetto di riqualificazione del quartiere di Gianturco che rischiava di trasformare il quartiere in una zona esclusivamente commerciale, cancellando la sua identità popolare. Officina 99 ha saputo mobilitare cittadini e associazioni, dimostrando che l’azione collettiva può contrastare gli interessi delle élite economiche e politiche.
Sul piano nazionale, il centro sociale ha partecipato attivamente ai movimenti No Global e No Tav, stringendo alleanze con altre realtà autogestite in tutta Italia. La solidarietà con i migranti, la lotta contro il razzismo e il sostegno alle famiglie colpite dalla crisi economica sono stati temi centrali nell’agenda politica di Officina 99, che ha sempre posto al centro le persone più vulnerabili.
Officina 99 ha avuto un impatto profondo sul quartiere di Gianturco, trasformando uno spazio abbandonato in un punto di riferimento per la comunità locale. Sebbene inizialmente il centro sociale fosse percepito con diffidenza da una parte degli abitanti, col tempo ha saputo guadagnarsi la fiducia del territorio, offrendo attività e servizi che rispondevano ai bisogni della popolazione.
Tra le iniziative più importanti ci sono state le scuole popolari, i laboratori per bambini e i corsi di formazione gratuiti, che hanno rappresentato un’alternativa concreta alle carenze del sistema scolastico e sociale. Anche la creazione di orti urbani e progetti di riqualificazione ambientale ha contribuito a migliorare la qualità della vita nel quartiere, promuovendo una maggiore consapevolezza ecologica.
A livello cittadino, il Centro Sociale ha rappresentato un simbolo di resistenza alle logiche di gentrificazione che negli ultimi decenni hanno trasformato Napoli, spingendo i ceti popolari fuori dal centro storico. La sua presenza ha ricordato che la città appartiene a chi la vive e non può essere ridotta a una merce da vendere al miglior offerente.
Come ogni esperienza autogestita, anche Officina 99 ha dovuto affrontare numerose sfide e contraddizioni. Le pressioni da parte delle istituzioni, i tentativi di sgombero e le difficoltà economiche hanno messo a dura prova il centro sociale. Inoltre, la gestione di uno spazio così complesso ha spesso sollevato dibattiti interni sul modello organizzativo, sulle priorità politiche e sulla relazione con il territorio.
Nonostante le difficoltà, Officina 99 ha saputo resistere, dimostrando una straordinaria capacità di adattamento e innovazione. La forza del collettivo risiede nella sua capacità di reinventarsi continuamente, mantenendo saldo il legame con i principi fondativi di autogestione, solidarietà e partecipazione.
Oggi, a oltre trent’anni dalla sua nascita, Officina 99 continua a essere un luogo di aggregazione, cultura e lotta. Sebbene il contesto sociale e politico sia cambiato rispetto agli anni ’90, le ragioni che hanno portato alla sua fondazione restano più attuali che mai. Le disuguaglianze sociali, la precarietà lavorativa e il degrado urbano continuano a essere problemi irrisolti, rendendo indispensabili spazi come questo.
Il centro sociale si è adattato ai tempi, integrando nuove forme di comunicazione e mobilitazione, ma senza perdere la sua identità. La pandemia di COVID-19, ad esempio, ha rappresentato una sfida senza precedenti, ma Officina 99 ha saputo rispondere organizzando iniziative di solidarietà per le fasce più colpite dalla crisi sanitaria ed economica.
Officina 99 non è solo un centro sociale: è un simbolo di lotta, creatività e resistenza. La sua storia dimostra che è possibile costruire alternative concrete al sistema dominante, basate sulla partecipazione dal basso e sulla condivisione.
In un mondo sempre più segnato da disuguaglianze e individualismo, esperienze come quella di Officina 99 ci ricordano l’importanza della collettività e della solidarietà.
Nel futuro, la sfida sarà quella di mantenere vivo questo modello, trasmettendolo alle nuove generazioni e continuando a immaginare una Napoli diversa: inclusiva, solidale e libera.
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