giovedì 14 novembre 2024

La Zona d’Interesse

 


Martin Amis è stato uno degli scrittori britannici più influenti e controversi del XX e XXI secolo. Figlio di Kingsley Amis, Martin ha sviluppato negli anni uno stile che intreccia satira, realismo e profondi elementi filosofici, affrontando temi provocatori con uno sguardo tanto critico quanto caustico. Attraverso la sua vasta produzione di romanzi, racconti e saggi, Amis ha sondato i lati più oscuri della società e delle psiche umane, spesso affrontando argomenti scomodi con una franchezza e un’ironia che pochi altri scrittori oserebbero. 
Uno dei suoi libri più controversi è "La zona d’interesse", un’opera che esplora il tema dell’Olocausto in modo unico, offrendo una prospettiva angosciante su uno dei capitoli più terribili della storia umana.

Martin Amis nasce nel 1949 a Oxford, in Inghilterra, e trascorre l’infanzia circondato dal mondo intellettuale. Già dalla prima adolescenza, vive in un ambiente letterario ricco e stimolante, grazie alla fama del padre, Kingsley Amis.
Fin dall'inizio, Martin dimostra un talento precoce per la scrittura e, nel 1973, debutta con "The Rachel Papers", romanzo che esplora le inquietudini e le ambizioni di un giovane protagonista alla soglia dell’età adulta e che, grazie a uno stile frizzante e acuto, ottiene il prestigioso Somerset Maugham Award, segnando l'inizio di una carriera brillante.
Gli anni Ottanta sono decisivi per la carriera di Amis. Con "Money: A Suicide Note" (1984), l’autore realizza un ritratto caustico del capitalismo e della società del consumismo, tratteggiando la figura grottesca di John Self, un regista pubblicitario che vive solo per il denaro e il successo. Il romanzo diventa un manifesto della satira postmoderna, in cui l’ironia di Amis si fa tagliente, rappresentando il cinismo e il vuoto morale della società contemporanea. 
La critica si divide: da una parte si loda il libro per il suo linguaggio innovativo e per la capacità di rappresentare una realtà superficiale e alienante; dall'altra, alcuni lo considerano eccessivamente cinico e controverso.


Amis continua a esplorare le dinamiche sociali con "London Fields" (1989), pubblicato in Italia con il titolo di "Territori Londinesi", un romanzo complesso che racconta di una Londra quasi distopica, in cui i personaggi, tra cui la femme fatale Nicola Six, incarnano i desideri, le ossessioni e la violenza della fine del XX secolo.
 Il romanzo è intriso di simbolismi e rivela una profonda amarezza nei confronti della società contemporanea, toccando i temi del destino e della morte.
Nel 1991, Martin Amis pubblica "Time's Arrow" (La Freccia del Tempo), in cui per la prima volta affronta il tema dell’Olocausto. Questo romanzo si distingue per un espediente narrativo unico: la storia si svolge all'indietro, dal presente al passato, e segue le vicende di un medico nazista che, partendo dalla sua morte, rivive la vita a ritroso. Questo espediente stilistico offre un punto di vista straniante, che consente ad Amis di esplorare la colpa e il male con una prospettiva originale. "Time's Arrow" viene accolto come un romanzo complesso e sperimentale che affronta la questione della memoria storica, ma non manca di suscitare dibattiti per la sua rappresentazione inusuale della tragedia dell’Olocausto.

Nel 2014, Amis torna sul tema dell’Olocausto con "La zona d’interesse" (The Zone of Interest), un romanzo che affronta la realtà dei campi di concentramento nazisti, stavolta con un approccio più diretto e destabilizzante. Ambientato in un campo di sterminio modellato su Auschwitz, il libro è narrato da tre voci: Golo Thomsen, ufficiale nazista che prova un’infatuazione per la moglie di un comandante; Paul Doll, il sadico direttore del campo; e Szmul, un prigioniero ebreo che è costretto a lavorare per i nazisti. 
Ogni voce rappresenta una diversa prospettiva sull'orrore della Shoah, e attraverso di esse Amis mette in luce la banalità del male e la disumanizzazione che ha reso possibile l’Olocausto.


Il romanzo si distingue per il coraggio con cui Amis esplora la psicologia dei carnefici, senza alcun tentativo di assolverli, ma anzi offrendo una rappresentazione brutale e spietata della loro disumanità. Questo tipo di narrazione è però particolarmente controverso: alcuni critici e lettori trovano difficile accettare che un autore possa “entrare” nella mente di personaggi che incarnano un tale livello di crudeltà e assenza di morale. 
Il personaggio di Paul Doll, per esempio, è rappresentato in tutta la sua trivialità e malvagità; il suo pensiero è un misto di cinismo, autocommiserazione e disprezzo verso le vittime.
Amis utilizza questo punto di vista proprio per sottolineare la banalità del male, mostrando come l’orrore non sia sempre un prodotto di individui eccezionalmente malvagi, ma spesso il risultato della burocrazia e dell’insensibilità quotidiana. Golo Thomsen, invece, rappresenta una figura più ambigua, un uomo che si innamora di una donna in un contesto atroce, suscitando domande sul significato dell’amore e dell’umanità in situazioni estreme.
L’accoglienza di "La zona d’interesse" è stata contrastata. 
Molti critici hanno lodato il coraggio di Amis nell'affrontare un tema così delicato e complesso, apprezzando il tentativo di rappresentare l’Olocausto da una prospettiva che non si limita a raccontare il dolore delle vittime, ma cerca di analizzare la natura del male stesso. Altri, tuttavia, hanno trovato il romanzo disturbante e inappropriato, sostenendo che Amis abbia affrontato l’argomento in modo eccessivamente freddo o provocatorio.
Scrivere sull’Olocausto è sempre una sfida morale, e Amis è consapevole delle difficoltà e dei rischi implicati in un’operazione del genere. Nei suoi saggi e interviste, Amis ha spiegato di essersi avvicinato a questo argomento con timore e rispetto, ma con la convinzione che la letteratura debba affrontare anche le realtà più dolorose. Nel libro, l’autore non cerca di giustificare o di comprendere i carnefici, ma di rappresentare la disumanità in tutta la sua crudezza. La sua speranza è che la letteratura possa stimolare una riflessione critica e profonda sulla storia, mantenendo viva la memoria delle atrocità.

Amis sostiene che il compito di uno scrittore non sia quello di offrire risposte o consolazioni, ma di portare alla luce le domande più inquietanti, di creare un dialogo con il lettore su temi che sfidano la nostra comprensione. In questo senso, "La zona d’interesse" rappresenta una sfida sia per l’autore che per il lettore, un invito a confrontarsi con il lato più oscuro della storia umana.


Dal libro è stato poi adattato l'omonimo film, diretto da Jonathan Glazer, presentato a Cannes a maggio 2023 il giorno immediatamente precedente alla scomparsa di Martin Amis.
Nel film, il regista ricorre a un formalismo radicale, in quanto le mura del campo di Auschwitz e quelle della residenza del comandante del campo sono condivise. All’interno della casa giungono da lontano solo i latrati dei cani, gli ordini urlati dei soldati, il rumore dei motori. 
La notte è illuminata dal rosso dei forni e squarciata dalle grida di terrore delle vittime. La vita nella casa scorre normale, retta dalla mano di ferro della moglie del comandante Rudolph Hoss, che egli affettuosamente definisce “la regina di Auschwitz”
La macchina da presa corre lungo i bordi della casa, coglie il fiorire dei germogli nel giardino, osserva l’ordine assoluto della dimensione domestica. 
Glazer filma con altrettanta glacialità i ragionamenti sulle strategie per sterminare nella maniera più efficiente possibile il maggior numeri di ebrei. La macchina di morte industriale nazista come il fantasma dell’ideologia produttivistica. 
Il corredo sonoro delle musiche di Mica Levi contribuisce in maniera determinante alla creazione di una sorta di malessere nello spettatore.
Il film inizia con un minuto di schermo nero e un rumore che diventerà parte integrante della colonna sonora col trascorrere dei minuti. Di colpo ci si dimentica del presente e ci si ritrova di fianco al campo di concentramento di Auschwitz, nella residenza del comandante Rudolf Hoss.
Tutto quanto accade al di là delle mura lo ascoltiamo e, più passano i minuti, più non vorremmo farlo perché stimola la nostra immaginazione. E non c’è cosa più spaventosa di immaginare il male, ancor di più quando abbiamo già sei milioni di idee su quello che possano significare quei suoni.

Jonathan Glazer

La luce naturale e le numerose macchine da presa posizionate nella residenza del protagonista creano dei piani sequenza glaciali. Gli attori sono ripresi come se fossero sul palco di un teatro. La quantità di camere ha permesso di riprendere i personaggi da cinquanta angolazioni diverse contemporaneamente. Tutto questo non fa altro che enfatizzare i dettagli sullo sfondo. Il filo spinato, i tetti e i camini del campo di concentramento su cui l’occhio non può fare a meno di andare a posarsi.

Il male sistematico e interiorizzato, come il vedere la moglie del comandante e le sue amiche spartirsi i vestiti dei deportati, o i bambini giocare in modo innocente con i denti di chissà chi mentre si mettono in fila i soldatini mentre dalla finestra aperta della cameretta penetrano le urla, diventa normalità. Quella normalizzazione del male e del dolore altrui che viene mostrata, in una delle scene più forti del film, quando il figlio maggiore rinchiude per gioco suo fratello più piccolo nella serra in giardino e rimane a fissarlo mentre piange. 
La grandezza del libro e del film da esso tratto sta tutta qui. 
In un periodo storico in cui si tende sempre più spesso a voltarsi dall’altra parte per non guardare, sia Martin Amis che Jonathan Glazer riescono a farci vedere e percepire il male fin nella bocca dello stomaco senza mostrare nulla, se non i suoi riflessi o l’eco delle sue grida.

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