martedì 3 dicembre 2024

Guarda Omar quanto è bello...



Guarda Omar quanto è bello...spira tanto sentimento...

Quante volte avrò visto il film "Totò sceicco"? 
E perchè, nonostante le innumerevoli visioni, continuo a ridere alle surreali invenzioni linguistiche e mimiche del mitico Principe De Curtis?
E pensare che quel film, diretto da Mario Mattoli, uscito nel 1950 e basato sul romanzo "L'Atlantide" di Pierre Benoit, pubblicato nel 1919, ha avuto predecessori ben più "seri", tra i quali quello diretto nel 1932 da Georg Wilhelm Pabst, regista di punta dell’espressionismo tedesco e della Repubblica di Weimar, che rappresenta un’opera visivamente potente ma profondamente controversa, un incontro tra immaginario mitologico, tensioni politiche e rigore estetico.
Se il romanzo di Benoît è intriso di mistero e sensualità, la trasposizione cinematografica di Pabst ne rielabora i temi in una chiave glaciale e introspettiva. 
Brigitte Helm, già icona grazie al ruolo della robotica Maria in Metropolis (1927) di Fritz Lang, interpreta Antinea, la regina leggendaria di Atlantide. La sua performance, fredda e statuaria, divise critica e pubblico, affascinando alcuni e deludendo chi si aspettava un’interpretazione più passionale.



La scelta di Brigitte Helm per il ruolo di Antinea non fu solo estetica, ma rispecchiava anche una dimensione politica e culturale. L'Europa degli anni '20 e '30 era in fermento: reduce dalle devastazioni della Prima Guerra Mondiale e dalla rivoluzione russa, il continente viveva un periodo di disgregazione culturale e ansia esistenziale. La Repubblica di Weimar, in particolare, era un crogiolo di sperimentazione artistica e di tensioni ideologiche che preludevano alla nascita e sviluppo del nazionalismo.  
In questo contesto, Brigitte Helm incarnava un'Antinea lontana dagli stereotipi della femme fatale
La sua figura non richiama Cleopatra o la regina di Saba, ma piuttosto un’idea rigida e idealizzata della femminilità, che riflette le inquietudini della Germania pre-hitleriana. 
Gelida e inaccessibile, la sua Antinea è più un simbolo che una donna, un’immagine cristallizzata che respinge ogni tentativo di umanizzazione.  
Come nel romanzo, Antinea è una figura ossessiva per il protagonista, St-Avit. Tuttavia, Pabst non enfatizza la sensualità che esplodeva nelle pagine di Benoît. 
La Helm non sorride mai, non seduce con gesti o parole: la sua presenza è un enigma, un enigma che Pabst esplora e accresce con una regia severa e contemplativa. Il famoso critico Georges Sadoul, nel suo "Dictionnaire des Films", descrive l'interpretazione di Brigitte Helm come quella di "un manichino di cera", una critica che coglie sia il limite sia la forza di questa caratterizzazione.  

G.W. Pabst e Brigitte Helm

La visione di Pabst trasforma il mito dell’Atlantide in un viaggio psicologico e simbolico. Antinea non è più una regina leggendaria in una terra perduta, ma una proiezione delle paure e delle pulsioni più profonde di St-Avit. La scelta di ambientare gran parte del film in caverne oscure e claustrofobiche rafforza questa dimensione interiore: Atlantide diventa una metafora delle profondità dell’anima umana.  
L’Antinea di Pabst, lontana dalla vitalità delle femmes fatales degli anni Venti, appare quasi come un Minotauro femminile. Vive in un regno isolato, alimentando la sua esistenza con le vite degli uomini che si smarriscono nel deserto e cadono sotto il suo dominio. La sua figura, frutto di un amore colpevole, sembra condannata a trascinare chiunque la incontri verso la rovina.  
L’interpretazione di Brigitte Helm in "L’Atlantide" può essere compresa appieno solo confrontandola con le precedenti collaborazioni di Pabst con Louise Brooks, un'attrice il cui carisma magnetico aveva definito i ruoli di "Lulù" ("Die Büchse der Pandora", 1929) e "Diario di una donna perduta" ("Das Tagebuch einer Verlorenen", 1929). 
Louise Brooks rappresentava una sensualità libera, ironica e ribelle, un contrasto netto con la rigidità della Helm.  

Louise Brooks

Pabst aveva un'adorazione quasi venerativa per Louise Brooks, affascinato dalla sua intelligenza vivace e dalla sua bellezza spontanea. Al contrario, Brigitte Helm sembra essere stata una scelta dettata più dalla necessità che dalla passione creativa. In Germania, l'opinione pubblica preferiva attrici come Marlene Dietrich o Greta Garbo, che avrebbero potuto dare ad Antinea una sensualità e un calore più vicini allo spirito del romanzo.  
La rappresentazione di Antinea come figura rigida e gelida riflette anche le tensioni culturali e ideologiche della Germania degli anni Trenta. Dopo l’esuberanza degli anni Venti, segnata da una vitalità artistica senza precedenti, il Paese stava vivendo una regressione verso valori più conservatori e autoritari. Questo ritorno al passato si traduce nel film in un’estetica austera e simbolica, dove ogni dettaglio visivo sembra studiato per evocare un senso di ordine e rigore.  
Le immagini di "L’Atlantide" sono straordinariamente curate, ma a tratti appaiono fredde e distaccate. Pabst utilizza luci e ombre per creare un’atmosfera oppressiva e mistica, ma questa ricerca estetica rischia di soffocare l’emozione. Sempre secondo Georges Sadoul, il film è "decorativo" e quasi eccessivamente elaborato, una caratteristica che può affascinare ma anche alienare lo spettatore.  
Nonostante le sue imperfezioni, *L’Atlantide* rimane un’opera affascinante, un documento di un’epoca in cui il cinema cercava di fondere mito, psicologia e politica. Pabst, maestro del muto e pioniere del sonoro, utilizza questa trasposizione per esplorare le paure e i desideri dell’uomo moderno, trasfigurandoli in un racconto atemporale.  
Brigitte Helm, con la sua bellezza statuaria e il suo distacco emotivo, rappresenta un’Antinea diversa da qualsiasi altra: non una donna fatale, ma un simbolo. Nonostante le critiche, la sua interpretazione rimane una delle più memorabili nella storia delle trasposizioni del romanzo di Benoît.  


Per chi ama il cinema espressionista e la sua capacità di trasformare lo schermo in uno specchio dell’anima, *L’Atlantide* è un viaggio imperdibile. Nonostante le sue imperfezioni, il film di Pabst rimane un esempio straordinario di come l’arte possa dialogare con la storia e il mito, dando vita a un’opera che continua a suscitare dibattiti e riflessioni a distanza di quasi un secolo.


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