martedì 11 febbraio 2025

I sogni son desideri


Sappiamo tutti cos’è Disneyland al punto da darlo per scontato. 
L’immagine del castello incantato appare senza problemi nella mente di chiunque, con le sue le guglie e le torrette illuminate, pur sapendo che del predetto castello esiste quasi esclusivamente la facciata frontale. Eppure, quest’immagine non è stata e non è neanche oggi un vero universale dell’immaginario condiviso. Le forme alterate di questo parco hanno infatti compromesso carriere e distrutto vite, soprattutto tra quelli che erano considerati i paesi del blocco comunista. 
Se infatti fossimo cresciuti in una repubblica socialista, come Cuba, l’Unione Sovietica o la Cina di qualche decennio fa, la nostra immagine di Disneyland sarebbe stata diversa da quella che abbiamo: sfocata e distorta. Immaginiamo di essere dei quadri del partito comunista di uno di quegli stati: forse avremmo potuto vedere qualche lungometraggio Disney e aver sentito parlare di quei parchi, eludendo il blocco della censura per il quale dovevano passare i prodotti culturali esteri. 
La nostra immaginazione si sarebbe quindi nutrita di suggestioni e avremmo costruito così una Disneyland personale e ideale: come Salgari sognava, senza mai averla vista, la Malesia di Sandokan, Nikita Krusciov sognava il castello di Cenerentola, ma il suo desiderio aveva una collocazione geografica precisa, si trovava in California, al Disneyland Resort, all'epoca l’unico parco esistente. 

Questo stesso fenomeno avveniva però anche dalla nostra parte della cortina di ferro dove artisti, scrittori e non solo, immaginavano l’utopia proletaria del sistema socialista. E, a volte, erano i paesi socialisti stessi ad assecondare il desiderio degli artisti occidentali. Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, solo per citare i più noti, visitarono la Cina maoista nel ’55. Le visite di questi scrittori nell’Unione Sovietica e in Cina furono organizzate con precisione e ogni tappa era, di fatto, una performance che si componeva di vari atti: la fabbrica, l’unità di lavoro, la comune agricola. 

Simone de Beauvoir e Jean Paul Sartre

Per diversi artisti occidentali del ventesimo secolo questi viaggi hanno rappresentato il primo gradino verso una disillusione più profonda.
Nel caso di Sartre e de Beauvoir la disillusione arriva prima per lei e solo dopo diversi anni per lui. Questi autori si erano accorti della messinscena a cui erano stati sottoposti e, chi prima e chi dopo, l’hanno rifiutata. L’ideale che ricercavano è rimasto valido finché era rappresentato da qualcosa di distante; l’utopia, come anche l’esotismo, vengono spesso uccisi dalla prossimità, dalla realtà. 
Il vero paradosso è che invece molti uomini di stato del blocco socialista erano invece attirati dalla messinscena proprio in quanto tale, e per essa erano disposti a sacrificare molto più di quanto ci potremmo aspettare. Il parco divertimenti di Disneyland, questa finzione proibita dell’Occidente, ha esercitato così un’attrazione nefasta per vari capi di stato e membri del gotha di una serie di stati comunisti.

Il primo di questi eventi è proprio legato a Nikita Krusciov: è il 1959 e il segretario generale del partito comunista sovietico era per la prima volta negli Stati Uniti per la più importante visita di stato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Durante questa visita ebbe modo di incontrare il presidente Eisenhower a Camp David, visitare aziende agricole sperimentali, passare qualche giorno a San Francisco e incontrare alcuni divi di Hollywood. Dalla costa occidentale fa una richiesta fuori programma: quella di poter vedere Disneyland California. La richiesta di visitare un parco divertimenti fatta da uno dei due uomini più potenti del pianeta venne però rifiutata dalle agenzie di intelligence. La CIA diede però il permesso di andare a Disneyland alla moglie e alla figlia, ma non a lui. Krusciov diede in escandescenze affermando "Cosa c'è là dentro: una base militare, un'epidemia di colera, un raduno di gangster pronti a farmi la pelle?". In una spirale di iperboli arrivò a minacciare il suicidio pur di poter visitare il parco. Alla fine, ripartirono tutti e tre senza esserci andati.

Nikita Krusciov

Questo fatto è sicuramente il più noto ed appartiene oggi all’aneddotica più che alla storia. Ma, insieme a questo, ce ne sono altri che, se messi in ordine, fanno emergere uno schema inaspettato che lega queste figure con un filo scuro. Quello che ha avuto le conseguenze più fosche è sicuramente legato alla Corea del Nord. La successione politica è sempre difficile e, se si parla di Corea del Nord, dove il potere è emanazione di una casata dinastica socialista, quella dei Kim, questo passaggio di consegne può essere addirittura cruento. 
Negli anni ’90 al potere c’era ancora Kim Jong-Il, figlio del padre della patria Kim Il-Sung; il suo potere era stabile, ma il patriarca stava invecchiando e il successore non era ancora riuscito a consolidare la sua posizione. Non era infatti chiaro chi tra i suoi tre figli e il genero gli sarebbe succeduto. Il primogenito Kim Jong-Nan era il favorito. L’evento che lo fece cadere in disgrazia e che determinò la fine della sua carriera politica, così come della sua vita, avvenne nel 2001 quando Kim Jong-Nan viene fermato all’aeroporto di Narita, in Giappone. 
Con lui ci sono anche due donne, la moglie, l’interprete e probabilmente la figlia. L’accusa era quella di essere entrato nel paese con un passaporto falso. Dal passaporto emerse che era entrato illegalmente nel paese almeno altre tre volte, con la motivazione di andare a visitare Disneyland Tokyo. La notizia venne ripresa anche in patria e venne usata come leva per screditarlo. 
Da quel momento iniziò a perdere l’appoggio del padre. Nel 2011, alla morte di questi, gli successe il fratello minore Kim Jong-Un che, nel 2017, lo fece uccidere all’aeroporto di Kuala Lumpur. 

Kim Jong-Nan

Altro regime, altra Disneyland: questa volta si tratta di Cuba e Disneyland Orlando. Fidel Castro, lider maximo dell’isola che fronteggia la Florida, provò a rispondere a Disneyland Orlando con El Mundo de la Fantasía: nella sua versione del parco divertimenti Topolino venne però sostituito, non con gli stessi risultati, dall’eroe dei cartoni animati cubani: Elpidio Valdés. El Mundo del la Fantasía si presentava come una parodia distorta e non voluta del suo corrispettivo, calcando molto la mano sull’antimperialismo americano senza però riuscire a creare alcun tipo di immaginario duraturo. Successivamente all'uragano che colpì l'isola nel 2012 il parco venne completamente abbandonato. 

L’unico esempio che si discosta da quest’elenco sfortunato è forse quello di Zeng Qinghong, ex vicepremier della Repubblica Popolare cinese. Zeng Qinghong, ora ritiratosi dalle scene, è stato quel politico che è riuscito a far entrare Xi Jinping all’interno del comitato permanente del Partito Comunista Cinese, il pool molto ristretto da cui emergono i vertici del paese. E fu proprio Zeng che venne inviato a supervisionare l’apertura di una Disneyland di prossimità: quella di Hong Kong. Anche in questo caso fu la prima volta che l’inaugurazione di un parco divertimenti venne presenziata da un politico con un profilo così alto. Ad ogni modo l’esperimento riuscì e si concluse con delle splendide foto delle mascotte Disney fotografate accanto a dignitari del partito durante la cerimonia di apertura nel 2005.





Disneyland Hong Kong rimane ad una distanza di sicurezza dalla Cina e spiana la strada alla politica successiva. L’avvicinamento progressivo si conclude definitivamente con l’apertura di Disneyland Shanghai nel 2016: il primo parco Disneyland in una repubblica popolare monopartitica.

L’amore per Disneyland da parte di questi capi di stato ci appare come un’evidente dissonanza: l’Occidente capitalista e i suoi prodotti di intrattenimento vengono attaccati dagli apparati di propaganda di questi paesi ma il parco divertimenti risulta essere il piacere inconfessabile dall’establishment comunista. Disneyland sembra toccare, in qualche modo, delle corde consonanti alla retorica di questi paesi; come la realtà presentata dalla propaganda socialista, anche Disneyland sembra non esistere mai nel presente, è viva o nel ricordo o nell’attesa di poterla raggiungere. 
L’antropologo francese Marc Augé parla infatti della visita a Disneyland come una visita al futuro anteriore, che trova il suo senso solo quando viene raccontata e rivissuta. Non è forse un caso che nella letteratura socialista, sia essa sovietica o cinese, il realismo delle storie venga sempre smorzato da un finale conciliante, quel lieto fine dove il tempo cristallizza in tramonto. Allo stesso modo i film della Disney hanno addolcito molte fiabe tradizionali togliendo gli elementi più cruenti che le caratterizzavano. 

Da quando Disneyland Shanghai è stata aperta la “pericolosità” di questi parchi è forse diminuita per i capi di stato dei pochi paesi socialisti ancora rimasti. Disneyland è ora a portata di mano e non rappresenta più un’alterità pericolosa da desiderare. I cittadini dell’Unione Sovietica, di Berlino est o della Repubblica Popolare Cinese però non sognavano Disneyland.
Per loro l’idea della prosperità capitalista era un abbaglio sufficiente per tentare la fuga dalla realtà in cui vivevano. Al contrario i quadri di partito, che conoscevano bene il linguaggio della propaganda e che avevano già accesso ad un certo grado di benessere in virtù del loro status, desideravano qualcosa che poteva essere allo stesso tempo esotico ma anche intriso di una narrativa che conoscevano bene. Per questo erano attratti da Disneyland: perché era una finzione dichiarata, una messinscena che non si può svelare e che, per questo, non può deludere.



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