Chi si ricorda del Dottor Linguetta?
Era la stagione 1995-1996 e il grande Emilio Solfrizzi, nel programma Striscia la Notizia (quando era ancora guardabile e non l'immondo contenitore attuale), intrepretava il ruolo di Lino Linguetta, pavido e servile giornalista, direttore de La Faccia del Sud, che non aveva alcuna remora a mostrarsi adulatore nei confronti del potere, di qualunque colore esso fosse.
Ma gli autori da chi possono aver tratto ispirazione per la creazione di tale personaggio?
Pensateci bene.
C’è una figura, in Italia, che brilla come un faro nella nebbia del camaleontismo mediatico.
Un uomo che, con una maestria degna dei migliori equilibristi circensi, è riuscito a camminare per decenni sulla sottile linea che separa il giornalismo dall’apologia.
Bruno Vespa, signore incontrastato del plastico, colui che trasforma la cronaca in fiction e la politica in spettacolo, è l’incarnazione perfetta dell'adattabilità professionale, quella che gli entomologi chiamerebbero “mimetismo aposematico”.
In altre parole, Bruno sa come diventare quello che serve, quando serve e per chi serve.
Bruno Vespa non è un giornalista. È un performer, un artista della trasformazione. In lui convivono il cortigiano rinascimentale, il cerimoniere medievale e il PR aziendale contemporaneo. Se avesse vissuto a Versailles, probabilmente sarebbe stato il primo a gridare "Viva il Re!" di fronte a Luigi XVI, salvo poi essere tra i primi a tagliare la torta celebrativa della sua ghigliottinatura.
Il talento di Vespa sta nel fiutare il vento prima ancora che il vento decida in che direzione soffiare. Berlusconi? Un amico fraterno. Prodi? Un venerabile statista. Renzi? Un genio del rinnovamento. Meloni? Una leader illuminata. Ogni leader è per Vespa la stella polare, finché non tramonta. E quando tramonta? Nessun problema: Vespa è già lì, pronto a giurare fedeltà al successivo sole nascente.
C’è chi ricorda Bruno Vespa per le sue domande, spesso talmente morbide da sembrare cuscini di piume. Ma il vero simbolo del suo giornalismo è il plastico. Il plastico della villetta di Cogne, della Costa Concordia, del ponte Morandi: ogni tragedia umana è un’opportunità di spettacolarizzazione, ogni dolore diventa un’occasione per sfoggiare quel sorriso da anfitrione televisivo.
Il plastico, però, è molto più di un semplice strumento scenografico. È una dichiarazione di intenti. Vespa non racconta la realtà: la modella, la semplifica, la riduce a qualcosa di tangibile e privo di sfumature, proprio come un plastico. Perché la complessità è faticosa, e Bruno non ama faticare. Ama, piuttosto, far finta di spiegare, ammiccando al pubblico con l’aria di chi ha tutto sotto controllo.
Nel pantheon del giornalismo, l’etica professionale occupa un posto d’onore. Per Vespa, però, l’etica è un concetto superfluo, un orpello che rallenta la corsa verso il successo. Perché mai farsi domande scomode, quando puoi vivere comodamente? E così, anno dopo anno, Vespa ha costruito la sua carriera su un’unica, infallibile strategia: compiacere chi detiene il potere.
Che si tratti di Silvio Berlusconi con i suoi sorrisi smaglianti e i suoi processi infiniti, di Matteo Renzi con i suoi mille giorni da leader rottamatore, o di Giorgia Meloni con la sua retorica da “patria e famiglia”, Vespa è sempre lì, pronto a offrire il palco perfetto per il monologo del potente di turno.
“Porta a Porta” non è un talk show. È una macchina del consenso, un laboratorio mediatico in cui ogni ospite, anche il più controverso, trova il suo momento di redenzione. Criminali pentiti, politici corrotti, starlette cadute in disgrazia: tutti passano per l’antro di Vespa, tutti si siedono sul suo divano, tutti trovano un modo per uscirne ripuliti.
Ma c’è una cosa che rende “Porta a Porta” unico: la sua capacità di essere contemporaneamente il tribunale e la chiesa. Vespa, con la sua finta imparzialità, è il giudice che non giudica e il confessore che assolve senza condizioni. Un miracolo televisivo che dura da decenni, alimentato dalla convinzione che l’apparenza conti più della sostanza.
Il segreto del successo di Bruno Vespa è semplice: non scontentare nessuno. Non importa quanto sia scottante il tema, quanto sia controverso l’ospite, quanto sia divisiva la questione: Vespa riesce sempre a trovare il modo di far sentire tutti a proprio agio. Come? Evitando accuratamente qualsiasi presa di posizione.
Le domande di Vespa non sono domande: sono formule di cortesia. “Lei cosa ne pensa?” è il suo mantra, un espediente per far parlare gli altri mentre lui si limita a sorridere, annuire e guardare l’orologio. Perché il vero obiettivo non è fare giornalismo, ma fare spettacolo.
C’è chi lo accusa di essere un voltagabbana, ma sarebbe un errore sottovalutare la sua coerenza. Bruno Vespa è sempre stato fedele a un’unica causa: sé stesso. La sua carriera è un monumento all’individualismo, un inno al pragmatismo più spinto.
Per Vespa, il giornalismo non è una missione, ma un mezzo. Non è una vocazione, ma una professione. E in questa professione, l’unica regola è sopravvivere. A qualsiasi costo.
Con una carriera così lunga e variegata, viene naturale chiedersi: quale sarà il prossimo capitolo della saga di Bruno Vespa? Continuerà a ergersi come il baluardo del giornalismo-spettacolo, o si ritirerà in una meritata pensione, magari pubblicando un’autobiografia dal titolo “Il potere visto da vicino”?
In ogni caso, una cosa è certa: Vespa non sparirà mai del tutto.
Troppo radicata è la sua figura nell’immaginario collettivo italiano, troppo forte la sua capacità di adattarsi a ogni cambiamento, troppo comoda la sua posizione di eterno mediatore.
Bruno Vespa è molte cose: un giornalista, un intrattenitore, un abile diplomatico del potere. Ma soprattutto, è il simbolo di un’epoca in cui il confine tra informazione e propaganda è sempre più labile.
E mentre lui continua a navigare placidamente tra le onde del potere, resta a noi il compito di chiederci: quale prezzo siamo disposti a pagare per un’informazione che non informa, ma intrattiene? Forse, alla fine, la vera colpa non è di Vespa, ma nostra.
Perché in un mondo dove conta solo l’apparenza, Bruno Vespa è il re. Un re senza scrupoli, ma con un trono solido come il plastico di una villetta in Val d’Aosta.
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