Oswiecim.
A molti il nome di questa cittadina polacca non dirà nulla.
Ci sono posti che vogliono fare la storia, altri che se la ritrovano addosso, come un macigno, e non possono fare altrimenti che curvare tutto ciò che li riguarda sotto il peso del passato. Anche l’architettura si trasforma: palazzi, musei, caffetterie sembrano disporsi lungo la schiena di una vecchia stanca, contorta e deformata dal fardello degli anni consumati e dei dolori indimenticabili. La città polacca di Oswiecim è uno di questi posti, il più terribile di questi posti, tanto che addirittura il suo nome è accovacciato e striminzito sotto quello per cui tutti la conoscono.
Auschwitz.
Proprio ottanta anni fa, il 27 gennaio 1945, l'Armata Rossa faceva il suo ingresso ad Auschwitz, scoprendo uno dei capitoli più bui della storia umana. Quella data segna non solo la fine di un incubo per migliaia di sopravvissuti, ma anche l'inizio di un imperativo morale: ricordare, per evitare che simili orrori potessero ripetersi.
Tra il 1940 e il 1945, Auschwitz divenne il centro nevralgico della macchina di sterminio nazista. Milioni di ebrei, insieme a prigionieri politici, rom, omosessuali, testimoni di Geova e altre minoranze, furono deportati in questo complesso di campi situato nella Polonia occupata. Per la maggior parte, il viaggio verso Auschwitz significava una condanna a morte: camere a gas, esecuzioni sommarie, lavori forzati e fame erano strumenti di un progetto di annientamento che ancora oggi è davvero impossibile da comprendere.
La liberazione del campo da parte delle truppe sovietiche non fu solo un atto militare, ma un momento di rivelazione. Le immagini dei prigionieri sopravvissuti, scheletrici e segnati nel corpo e nell'anima, e dei cumuli di corpi, scarpe e oggetti personali abbandonati, rivelarono al mondo l'inimmaginabile portata del genocidio.
Auschwitz non era solo un luogo di morte; era il simbolo della disumanità portata al suo estremo.
Auschwitz è più di un luogo storico; è un avvertimento.
Ricordare ci costringe a confrontarci con la capacità dell'uomo di infliggere sofferenza e morte.
Ma la memoria non è un processo passivo. Richiede impegno, educazione e un continuo sforzo per tenere vivo il ricordo in un mondo che tende a dimenticare.
La commemorazione degli 80 anni dalla liberazione di Auschwitz rappresenta un'opportunità cruciale per riflettere sull'importanza della memoria storica. In un'epoca segnata dalla disinformazione e dal negazionismo, è fondamentale preservare la verità dei fatti, testimoniata dai sopravvissuti e confermata da prove inconfutabili. Ogni storia personale, ogni nome e ogni volto rappresentano un tassello di un mosaico che non possiamo permetterci di smantellare.
Uno degli aspetti più significativi della memoria è la sua trasmissione. I sopravvissuti della Shoah hanno dedicato gran parte della loro vita a raccontare ciò che hanno vissuto, spesso a caro prezzo emotivo. Ma il tempo è inesorabile, e con il passare degli anni, il numero di testimoni diretti diminuisce. Questa realtà impone una sfida: come mantenere vivo il ricordo senza le voci di chi ha vissuto quegli orrori?
“Gli ottant’anni della liberazione di Auschwitz sono delle commemorazioni molto diverse rispetto al passato”, Jochen Böhler, storico e direttore dell’Istituto Wiesenthal di Vienna per gli studi sull’Olocausto percepisce la differenza del posto che la memoria occupa in un’Europa che si è ritrovata a confrontarsi con la guerra e in un mondo in cui l’antisemitismo è in crescita. “Dieci anni fa pensavamo che bastasse commemorare in modo che questi crimini non si ripetessero, ora non basta. Ci rendiamo conto che i valori su cui si basano le nostre società non sono più scontati”, lo storico è molto preoccupato per il ritorno delle destre estreme e lo dice con un riferimento particolare al paese in cui lavora, l’Austria, in cui gli estremisti dell’Fpö stanno per formare un governo in cui saranno loro la maggioranza, e con inquietudine anche per il posto da cui proviene: la Germania.
“Ora che i sopravvissuti all’Olocausto sono sempre meno, bisogna stare attenti a come la storia viene tramandata. Arriverà il giorno in cui ci troveremo a commemorare senza nessun testimone tra noi; a quel punto tutto il materiale che abbiamo raccolto, libri, registrazioni con le loro parole potenti, non vanno tenuti in una teca, vanno condivisi con i più giovani. Mi allarma pensare che come commemoreremo in futuro dipenderà dai governi e dalle loro politiche della memoria”, Böhler sottolinea quanto il ricordo sia legato alla politica, e torna all’Austria: “A Vienna il possibile partito di maggioranza ancora non ha attaccato la memoria, sa di avere una cattiva reputazione presso la maggior parte degli austriaci, quindi anche il nostro istituto non è stato toccato, ma siamo consapevoli che è necessario stare all’erta, essere pronti a reagire quando il governo vorrà diventare il custode della memoria e detterà a riguardo la sua politica”.
L’istituto per gli studi sull’Olocausto che Böhler presiede venne fondato da Simon Wiesenthal, sopravvissuto al campo di concentramento di Mauthausen, attivista per i diritti umani e cacciatore di criminali nazisti in giro per il mondo: fu anche indirettamente coinvolto nella ricerca di Adolf Eichmann, il contabile dell'Olocausto, che era fuggito in Argentina, dove venne catturato durante un’operazione leggendaria del Mossad, il Servizio Segreto Israeliano, e portato in Israele.
“Per tenere viva la memoria – dice lo storico – bisogna rendere viva l’idea di quello che è successo. Era esattamente lo sforzo di Wiesenthal, che presentava l’Olocausto come un male che può ripetersi, l’esempio di quello che degli esseri umani possono fare ad altri esseri umani. Va ricordato come crimine”.
Un disegno su un muro a Oswiecim:“L’antisemitismo è un peccato contro Dio e contro l’imanità”, dice il Papa. Sotto qualcuno ha aggiunto: “Anche il silenzio lo è”
Musei, documentari, libri e memoriali giocano un ruolo cruciale nel trasmettere la storia. Progetti come il Memoriale di Auschwitz-Birkenau e iniziative come il Giorno della Memoria offrono alle nuove generazioni strumenti per comprendere il passato. Tuttavia, è fondamentale che la narrazione non si riduca a un elenco di date e fatti. Occorre trasmettere l'emozione, l'empatia e la comprensione profonda di ciò che Auschwitz ha rappresentato.
Alla stazione di Oswiecim, lungo il sottopassaggio in cui è disegnata la storia della città c’è anche l’immagine di un treno, con accanto la scritta: un treno per il futuro.
Il cancello con l’iscrizione “Arbeit macht frei” è a soli due chilometri di distanza.
Lo scorso anno Elon Musk è passato attraverso quella porta. Aveva suo figlio sulle spalle, uscì e disse che si era reso conto di essere stato ingenuo riguardo all’antisemitismo.
A un anno esatto di distanza, Musk ha fatto la sua apparizione durante un comizio del partito tedesco di estrema destra AfD, un coacervo di negazionisti, antisemiti, nostalgici che alle elezioni del prossimo mese potrebbe diventare il secondo partito in Germania. Musk, in quella occasione ha pronunciato una frase molto illogica, soprattutto se ascoltata da questa parte di Polonia che convive ogni giorno con il ricordo in modo consapevole o inconsapevole, in fastidito o giudizioso: “Penso che ci sia troppa attenzione alle colpe del passato – ha detto il miliardario che per il futuro ha una passione sfrenata e contagiosa – dobbiamo andare oltre. I bambini non dovrebbero sentirsi in colpa per i peccati dei loro genitori, persino dei loro bisnonni. Bisogna essere ottimisti ed eccitati per il futuro della Germania”.
L'oblio è il primo passo verso la ripetizione degli errori. Come disse Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz e autore di alcune delle testimonianze più potenti sull'Olocausto: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Questa conoscenza deve essere una barriera contro l'indifferenza e l'odio, elementi che resero possibile l'orrore.
Ottant’anni dopo, ad Auschwitz non si ricordano le colpe, si ricordano i crimini e la loro fine. Il campo, le sue baracche di mattoni rossi, le stanze della morte, il filo spinato sono stati lasciati dov’erano come atto di resistenza, come una decisa promessa per il futuro.
Non come un pianto per il passato.
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