KING HANNAH - Big Swimmer
Era molto atteso questo nuovo album, soprattutto dopo il folgorante esordio "I'm not sorry, I was just being me" del 2022 e i due ragazzi di Liverpool non deludono, anzi sfornano un album "classicamente" americano, o meglio newyorkese.
Sembra infatti di ascoltare echi di Velvet Underground & Nico soprattutto nelle iniziali Big Swimmer e New York, let's do nothing, ma è l'intero album ad essere intriso delle medesime atmosfere.
Composto non a caso durante il loro tour americano, l'album vede Hannah Merrick fornire un prova di alto valore, tale da indurre a pensare a lei come la prossima Beth Gibbons/Hope Sandoval. Craig Whittle di contro maneggia il repertorio completo del chitarrista rock classico.
Questo secondo disco è più che mai un duetto, le canzoni spesso iniziano minimali, concentrate sulla voce, per poi esplodere in riff e assoli chitarristici che disegnano paesaggi variegati (Somewhere neae El Paso).
Di fronte a loro due, anche Sharon Van Etten sparisce nei suoi due featuring ai cori.
IL QUADRO DI TROISI - La Commedia
Personalmente ho sempre amato i Matia Bazar del periodo "elettronico", cioè quelli degli album "Tango", "Aristocratica", "Melancholia", espressioni di un tentativo di proporre una via italiana a una new wave di classe, ispirata da John Foxx, Ultravox et similia.
Per questo non posso evitare di gioire nell'ascoltare la seconda opera del trio composto da Eva Geist, Donato Dozzy e Pietro Micioni.
E' soprattutto nel secondo brano, "La Terra" che si sentono echi lontani delle tastiere di Mauro Sabbione dei Matia Bazar in "Elettrochoc", mentre la voce di Eva segue le tracce del canto melodico di Antonella Ruggiero.
Ma attenzione, sarebbe riduttivo indicare i soli Matia Bazar come sola fonte d'ispirazione.
La musica dei Quadro di Troisi è come filtrata da un un prisma che guarda a Giuni Russo, Alice e Pino Mango, ma che origina da un intricato lessico sintetico, figlio della regina madre Suzanne Ciani (amica del gruppo e qui chiamata in veste di collaboratrice) ma capace di muoversi in lungo e in largo per i decenni e i continenti, algido e malleabile al tempo stesso.
È un gioco di contrasti che acuisce la commedia messa in atto dal terzetto (in realtà quartetto grazie ai mirati contributi di violino di Francesca Colombo), che ne esalta l'oscura malia, il “soffio glaciale”, come da conclusione del cristallino techno-pop de “La notte”.
Un grande album.
BETH GIBBONS - Lives Outgrown
Bristol, UK.
In principio fu il Pop Group di Mark Stewart, precursore di ogni contaminazione tra la furia del punk e la musica black (funk, reggae, dub, free-jazz).
E a metà anni Ottanta prende forma anche "The Wild Bunch", il Mucchio Selvaggio.
Un crogiuolo di rapper, dj, ballerini, writer e produttori che si riunisce per suonare nelle cantine dei sobborghi della città.
Poi, alcuni di loro spiccano il volo.
Come i tre Massive Attack che nel 1990 danno vita a un collettivo "aperto", pubblicando un anno dopo il loro album d'esordio "Blue Lines". Dentro c'è di tutto, dall'hip-hop al soul, ma anche il funk, il reggae, l'elettronica, la soundtrack music, l'acid-jazz.
Lo chiameranno Bristol sound o più semplicemente trip-hop. Una sorta di reazione "uguale e contraria" alla frenesia techno che dilaga in quegli anni. Musica atmosferica, da viaggio (il "trip"), che rallenta le pulsazioni hip-hop e house per ottenere un effetto più rilassato e onirico. Musica cerebrale, eppure profondamente fisica, con quei bassi dub che entrano nello stomaco.
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