“See
me, feel me…”
Siamo nel 1969, in Inghilterra.
Già da qualche anno
gli Who, si sono fatti conoscere sui palchi di tutto il mondo, anche per la loro abitudine di distruggere gli
strumenti durante le esibizioni.
Famosa fu quella del
Monterey Pop Festival del 1967, fatto che si ripeterà anche nel programma televisivo
Smothers Brothers Comedy Hour, con dei risultati letteralmente esplosivi, dato
che la batteria di Keith Moon esplose realmente sul palco, causando una
temporanea perdita dell'udito al chitarrista Pete Townshend.
Il successo e le
situazioni precedentemente descritte risulteranno nella prima intervista di
Townshend alla rivista statunitense Rolling Stone.
Townshend rivelò in
questa intervista che il gruppo stava lavorando per la realizzazione di
un'opera rock completa: "So che non
mi crederà nessuno, ma io sto davvero pensando di scrivere un'opera rock che
abbia per protagonista un giocatore di flipper sordo, muto e cieco. Non sto
scherzando, anche se per ora è solo un'idea che ho in testa. Non c'è niente di
definito".
Quest’idea si
concretizzerà successivamente nell’album Tommy.
Pubblicato come detto nel 1969, è uno dei primissimi concept album, costruito cioè attorno ad una unica storia che, in questo caso, è quella del piccolo Tommy il cui padre è dato disperso in guerra e la cui madre, nel frattempo, si fa consolare da un nuovo amico.
Il padre inaspettatamente fa ritorno a casa,
coglie l'infedele in flagrante e ne uccide l'amante; Tommy, attraverso i
riflessi di uno specchio, assiste alla tragedia e ne resta traumatizzato, tanto
da perdere i sensi primari: rimane cieco, sordo, e muto (deaf, dumb and blind).
Il suo, da qui in
avanti sarà una sorta di viaggio dantesco, una lenta ascesa verso la luce che
lo porterà a incontrare ambigui e bizzarri personaggi che faranno non solo da
colonna sonora alla sua esistenza di invalido, ma saranno esperienze di vita per
la sua crescita senza punti di riferimento precisi.
Incontrerà nel corso
del proprio cammino cugini violenti, conoscerà la droga, avrà per zio una
persona subdola e viscida che abuserà di lui, diverrà campione di flipper
attraverso le vibrazioni e l'unico senso rimastogli, il tatto.
Verso la fine di
questo percorso un dottore si accorgerà che l'unico modo di comunicare di Tommy
è attraverso gli specchi. La madre, inorridita da questa fantomatica teoria,
distruggerà gli specchi di casa, generando al tempo stesso un'inconsapevole e
miracolosa cura che libererà Tommy dal suo gravoso handicap, donandogli, come
per miracolo, tutti i sensi perduti.
In realtà questa
storia rispecchia le esperienze giovanili di Pete Townshend e Tommy può essere
considerato come una sorta di metafora autobiografica del suo autore.
Tommy è rinchiuso in
una specie di prigione buia, sa che la vita che lo circonda scorre via senza
che lui possa fare nulla.
Solo con la fantasia
e l’immaginazione inizierà a creare un proprio mondo personale e parallelo a
quello reale, e solo quando avrà completato il proprio percorso potrà tornare
ad essere come gli altri.
Pete Townshend, il suo autore, era un ragazzo che veniva da bassifondi di periferia e che per la sua gran voglia di identificarsi in una società che non sentiva adeguata al proprio modo di essere ha cercato con ogni mezzo di fuggire da essa. Pete Townshend è Tommy, Pete Townshend è quel brutto anatroccolo senza niente, soffocato da una realtà non sua, Pete Townshend evade da essa con la forza dell'arte, sulle ali della musica trova una sua particolare via di fuga da tutto quel grigiore che lo opprime.
Gli Who sono stati
per Townshend la prima occasione per crearsi una propria identificazione
personale, un po' come per Tommy lo è stato l'essere diventato campione di
flipper, un primo tentativo di comunicare con l'esterno e soprattutto di
sentirsi vivo.
Se il sound
precedente degli Who era stato caratterizzato da suoni ruvidi e selvaggi, in
Tommy le sonorità si fanno più elaborate, ma non per questo meno valide e sia
queste che i testi sembrano essere stati creati per conferire maggiore
credibilità alla storia.
Anche nelle
“cavalcate elettriche” come Pinball Wizard, introdotta da un memorabile
passaggio della chitarra di Townshend, sembra di ascoltare una band
assolutamente diversa da quella che solo pochi anni prima cantava in My
Generation “Hope i die before i get old”.
La
canzone maggiormente ricordata dell’intero album è sicuramente la finale “We’re
not gonna take it” con il suo ritornello
“…See me, Feel me…”.
"We're
Not Gonna Take It" è un inno, intervallato da un subdolo quanto ripetitivo
pianoforte, il cantato è sofferto e al tempo stesso toccante: sembra quasi una
preghiera di religioso ringraziamento, vera gemma finale di questa drammatica e
avventurosa storia di dolore e rinascita.
Resta
memorabile la versione di questo pezzo fatta dagli Who al festival di
Woodstock, ancora oggi ascoltare Roger Daltrey cantare “See me, Fell me…” dà i
brividi.
Questo
disco, sei anni dopo la sua pubblicazione, diventò un film diretto da Ken
Russell, uno dei registi più visionari che l’Inghilterra abbia mai avuto, con
un cast di tutto rispetto.
Oltre a Roger Daltrey che impersonava Tommy, parteciparono al film Eric Clapton, Tina Turner,Jack Nicholson, Ann Margret, Robert Powell e soprattutto Elton John che impersonava un improbabile campione di flipper sconfitto da Tommy.
Anche
la copertina del disco è un capolavoro: sbarre di metallo che racchiudono il
buio, il buio del cieco vivere di Tommy.
Ma
colombi bianchi volano al di là delle sbarre.
Lo
spirito e l'immaginazione di Tommy non possono essere intrappolati, volano
liberi e leggeri fuori da quella misera prigione.
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