Nel 1983, Ivo Watts Russel, il fondatore dell'etichetta 4AD, che aveva già pubblicato album di artisti come Bauhaus, Birthday Party, Modern English e Cocteau Twins, decise di selezionare attentamente vari membri delle band dell'etichetta, per registrare un singolo unico, Sixteen Days/Gathering Dust, che avrebbe dovuto essere cantato da Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins e pubblicato con il nome This Mortal Coil.
Ma Ivo Watts-Russell aveva ovviamente bisogno anche di una canzone per il lato B e così chiese a Elizabeth Fraser di interpretare una cover della sua canzone preferita, il classico "disco da isola deserta", Song to the Siren di Tim Buckley .
Figlio di un decennio in cui le musiche si mescolavano, le gerarchie crollavano, Tim Buckley inizia la propria carriera con il piglio del folksinger, salvo poi accorgersi subito che la particolarità della sua voce lo spingeva ben oltre il mondo del Village e del Newport Folk Festival.
In quegli anni subisce l’influenza di un altro della sua specie, Fred Neil, che gli spiana la strada con le sue ballate dolci e amare, caratterizzate da accordi aperti, e da vertiginosi raga folk, emulandone la voce, il basso profondo, e accoppiandovi un esplosivo falsetto dal profondo dell’anima.
Con quella dote e con testi visionari, scritti con l’amico Larry Beckett, Buckley approda alla Elektra e prima che abbia compiuto ventun anni ha già due lp notevoli alle spalle, "Tim Buckley" e "Goodbye And Hello". Notevoli ma ingenui, e non precisamente suoi: il produttore Jerry Yester ha deciso che quel cherubino californiano deve abitare angoli luminosi di cielo, e gli ha cucito addosso arrangiamenti barocchi. Per fortuna Tim è un inquieto, oltre che un esigente, e si stacca subito da quel tutore per seguire un percorso tutto suo.
Lo attira un certo jazz impressionistico, morbidi ritmi e timbri di vibrafono e chitarra, e su quel sogno modella il primo capolavoro, "Happy Sad", che fin dal titolo esprime il gusto di un viaggio al termine della malinconia per stillarne un succo voluttuoso.
È quella una faccia dell’artista: le sfrenate pulsioni che si sfogano nel brano più impressionante del nuovo disco, Gypsy Woman, il rumore caotico e animale che preme ai confini della sua tenerezza e che di lì a poco prenderà il sopravvento.
Gli anni migliori di Buckley sono quelli tra il 1968 e il 1970, quando pubblica in rapida sequenza quattro album sconvolgenti; dopo "Happy Sad" vengono "Blue Afternoon", "Lorca" e "Starsailor".
Proprio in quest'ultimo album è contenuta "Song to the Siren", scritta da Larry Beckett, un amico ed ex compagno di band, diventato poeta e accademico.
Ispirato da Omero, Shakespeare e da una donna di cui non rivelerà il nome, Beckett scrisse un elogio funebre per le fatiche d'amore perdute:
Alla deriva in mari deserti
facevo del mio meglio per sorridere
fino a che le tue dita e i tuoi occhi ridenti
non mi hanno attirato verso la tua isola
e tu cantavi:
Fai vela verso di me
fai vela verso di me
lascia che ti stringa tra le mie braccia
io sono qui
io sono qui
ti sto aspettando per averti"
E' stato un sogno o tu sognavi me?
Eri tu la lepre ed io ero la volpe?
Ora la mia stupida barca sta accostando
innamorati infelici (si sono) infranti suoi tuoi scogli
perché tu canti "non toccarmi, non toccarmi, ritorna domani"
oh il mio cuore, oh il mio cuore rifugge dal dolore
Sono confuso come un bimbo appena nato
sono turbato di fronte alla marea:
Rimarrò tra quelli che si sono infranti?
Mi stenderò con la morte come mia sposa?
Puoi ascoltarmi cantare: "Nuota verso di me, nuota verso di me,
lascia che ti stringa tra le mie braccia
sto aspettando per averti"
Larry Beckett ha poi raccontato:
"Tim stava facendo colazione quando gli ho lasciato il testo, gli ha dato un'occhiata, lo ha messo da parte, ha finito di mangiare e ha preso la chitarra. Guardando di nuovo le parole, ha iniziato a cantare e, a parte piccoli cambiamenti, è quello che sentite ora. Aveva questo incredibile dono di abbinare la melodia al linguaggio. È il modo in cui la melodia cade e si solleva, come le immagini, e ripete una figura mentre sta facendo una supplica. Nel frattempo, la linea di basso sta calando e si sta erodendo come se il mare stesse erodendo la sua supplica".
La canzone è una ballata stranamente inquietante, le sue immagini del mare, di una storia d'amore destinata a fallire e di annegamento alludono a ciò che Ivo Watts-Russell ha poi chiamato "l'inevitabile danno che l'amore causa".
L'originale inquietante di Buckley è sostenuto da forti ondate di chitarra e occasionali lamenti acuti da "sirena" (è la sua voce?), e dalla potenza della sua voce, che si estende per cinque ottave, "la cosa più vicina al volo senza prendere acido o salire su un aereo", sostiene Ivo Watts-Russell.
Se la versione dei This Mortal Coil, cantata dall'agelica voce di Elizabeth Fraser, suggeriva che fosse la sirena dell'Odissea di Omero personificata, che attirava gli amanti verso una tomba prematura, possiamo dire che sicuramente qualcuno è stato attirato, perché Song to the Siren è diventato un lato A a sé stante e ha trascorso due anni nelle classifiche indipendenti, vendendo oltre mezzo milione di copie.
I This Mortal Coil, sempre con formazioni diverse, hanno successivamente pubblicato tre album di cover e brani originali altrettanto intensi, ma niente è mai stato all'altezza della bellezza della loro versione di Song to the Siren, successivamente interpretata da numerosi altri artisti, tanto da raggiungere ormai una dignità da "standard".
"È una grande vetrina per qualsiasi cantante, perché puoi aprirla e personalizzarla", ha dichiarato Brendan Perry dei Dead Can Dance, un ex collaboratore di This Mortal Coil, che ha eseguito la canzone dal vivo .
"È meravigliosamente semplice con testi metaforici fantastici e una tristezza squisita che ti fa rabbrividire", è il verdetto di David Gray. "Buckley si è avvicinato così tanto al limite di una solitudine e di un desiderio che sono quasi scomodi e ti bloccano di colpo, mentre la versione di Fraser ti fluttua nelle orecchie e ti travolge, come il mare che è costantemente rappresentato. Ogni volta che ascolto una delle due versioni, vengo trasportato altrove, fuori da me stesso".
"Non sapevo che Buckley non avesse scritto le parole", dichiarò Sinead O'Connor, "ma ho sempre pensato che ci fosse una profezia di morte in quella canzone".
Forse è proprio per questo motivo per cui Elizabeth Fraser ha sempre rifiutato di parlare della canzone, tanto da ignorare tutte le richieste di interviste in proposito.
Il figlio di Tim Buckley, Jeff, le scrisse quando ascoltò la cover di This Mortal Coil e, un paio di anni prima di annegare, all'età di 30 anni, nel 1997, ebbero una relazione.
Ancora Larry Beckett dichiarò "Una perla è un oggetto di grande bellezza causato da un granello di sabbia che entra nel guscio dell'ostrica, il che mi sembrava appropriato, con le immagini del mare e il marinaio e la sirena che si confrontano. La bellezza o il dolore domineranno su tutto? Ma Tim credeva che la canzone fosse imperfetta e non potesse mai essere eseguita, anche se era d'accordo che fosse la migliore canzone che avessi mai scritto".
Ma proprio come sperava Beckett, la morte non è necessariamente la fine.
La cover dei This Mortal Coil ha salvato la canzone, e Tim Buckley, da un ingiusto oblio.
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