In una delle tante notevoli scene che compongono "A Complete Unknown", l'affascinante film di James Mangold sui primi anni di Bob Dylan, vediamo Dylan (Timothée Chalamet) e Joan Baez (Monica Barbaro), che sono stati coinvolti musicalmente e sentimentalmente, esibirsi in un duetto al Newport Folk Festival nel 1964.
Stanno cantando "It Ain't Me Babe" di Dylan, e il modo in cui le loro voci, e i loro sorrisi, si fondono crea un suono così puro che sembra illuminato dal sole. Il regista cristallizza questo momento, lasciando che la canzone scorra per intero, come fa con molte delle canzoni di "A Complete Unknown", così che diventino letteralmente la storia che il film sta raccontando.
Questa esibizione è come un sogno scintillante, ma è allo stesso tempo il dramma che si sta verificando. Joan Baez, a quell'epoca, ne ha abbastanza di Dylan.
È un poeta hipster, celebrità folk egocentrica e lunatica, che si mette sempre al centro delle cose, e Joan si è stancata di essere trattata come l'accessorio di Dylan. La canzone che cantano esprime ciò che provano l'uno per l'altra ("Non sono io, tesoro,/Non sono io che stai cercando, tesoro").
Eppure sia Bob che Joan investono la canzone di così tanta passione che sembra una storia d'amore, tanto che Sylvia, l'altra ragazza di Bob (in realtà si chiamava Suzie), interpretata da Elle Fanning, rimane così coinvolta dalla connessione tra i cantanti che si allontana dal palco in lacrime.
La musica folk è radicata nella devozione al mondo, ma in quel momento ciò di cui Dylan e Baez cantano è la devozione a se stessi: il nuovo mondo che sta arrivando. Ecco perché la scena ci fa scoppiare il cuore e girare la testa allo stesso tempo.
"A Complete Unknown", pur mostrandosi come un film "naturalista", con una trama che segue l'ascesa del suo leggendario eroe cantautore, riccioluto e con gli occhiali da sole, da quasi l'effetto di assistere a un musical, ma di certo non a un semplice biopic rock classico. Il film, con la sua struttura basata su canzoni assemblate in maniera meravigliosamente casuale, parla davvero di Dylan e della sua musica, e di come la musica abbia cambiato tutto.
Ogni nuova canzone è un episodio drammatico, che si tratti di Dylan che esegue "Masters of War" al Gaslight Cafe subito dopo la crisi missilistica cubana o che prova "Blowin' in the Wind" con Joan Baez nel suo soggiorno o che canta "The Times They Are A-Changin'" a Newport, dove il pubblico, alla fine, canta il ritornello come se lo conoscesse da sempre.
Dylan, interpretato da un Timothee Chalamet con una rana in gola e un fare sornione e scontroso, così autentico da disarmarti e poi atterrarti, vaga da angusti appartamenti bohémien a studi di registrazione, palchi per concerti e feste chic, tornando sempre allo squallore colorato del Greenwich Village, legandosi a chiunque gli faccia comodo. Scivola in relazioni e poi, altrettanto rapidamente, ne scivola fuori. Ma questo perché la musica è la sua unica vera amante.
Le canzoni che Dylan compone, scarabocchiando i testi su taccuini, spesso nelle ore piccole, lo consumano e lo definiscono. E "A Complete Unknown" scava nel potere elementare di ciò che Dylan ha creato durante questo periodo, sfornando canzoni per le ere a venire come se le avesse tirate fuori dalle ere.
Il fatto che il Dylan che vediamo sia una specie di mascalzone diventa parte della potenza del film. È spietatamente onesto su come sia veramente un artista ossessivo.
Lo incontriamo nel 1961, quando è un ragazzo di 19 anni che fa l'autostop dal Minnesota. Viene lasciato a New York City in una fredda giornata invernale, con indosso il suo berretto di velluto a coste, la sciarpa e lo zaino, con la custodia della chitarra che sembra essere parte di lui, e si dirige immediatamente all'ospedale nel New Jersey dove Woody Guthrie (Scoot McNairy) è a letto, incapace di parlare a causa delle devastazioni della malattia di Huntington. L'amico di Guthrie, Pete Seeger (un grandissimo Edward Norton), gli fa visita e Bob entra nella stanza con aria interrogativa. Ma è in soggezione davanti al suo maestro, la cui musica cadenzata e strascicata ha forgiato il modello per ciò che fa.
Mentre Dylan tira fuori la chitarra e suona "Song to Woody", accade qualcosa che non esiterei a definire magico. Chalamet, cantando con voce nasale e leggermente tesa, il suo tono saldo come la roccia come il suo sguardo, canta il testo come se fosse un incantesimo... e in quel momento, diventa Bob Dylan.
La voce, la schiettezza grezza, la durezza spirituale che si scioglie in qualcosa di lirico: è tutto lì.
Il Bob di Chalamet non parla molto: tende a parlare in frasi di cinque parole. Ma questo perché, nella sua mente, ha già tagliato la sciocchezza che è la comunicazione umana. Non gli serve a molto. È collegato a qualcosa di più elevato e senza tempo. E Chalamet accetta la sfida di catturare il carisma spinoso della personalità sicuramente particolare di Dylan. È una performance travolgente che è fedele a Dylan e, cosa altrettanto importante, fedele alla logica dei film. Noi guardiamo questo giovane uomo misterioso, che illumina una stanza quando canta, e come tutti quelli intorno a lui vogliamo sapere qual'è il suo segreto.
La sceneggiatura, di Mangold e Jay Cocks, è architettata senza che nessuno dei punti che un film biografico convenzionale tratterebbe venga trascurato: il modo in cui Dylan, al Folk City, catturò il pubblico del Village nei primi anni '60 e il New York Times; il suo legame con Joan Baez e il legame più gentile che instaura con Sylvie/Suzie, interpretata da Elle Fanning, impegnata in politica, l'accordo che stringe con l'astuto manager Albert Grossman (Dan Fogler); il rapporto quasi cameratesco che instaura con Johnny Cash e con Seeger.
Dylan stesso è immerso nella musica folk, ma non è un purista folk.
A differenza di Seeger, Dylan vede quello che sta arrivando: l'incredibile seguito da parte del nuovo pubblico pop. La storia che "A Complete Unknown" racconta è come Dylan si allontana dalla "purezza" della musica folk perché la sua musica inizia ad aprirsi a una purezza più ricca, più audace, più maestosa: la necessità di riflettere il mondo che vede intorno a sé.
Ecco perché passa all'elettrico.
Questa "evoluzione" sconvolgerà i veri credenti, come l'organizzatore-guru del Newport Folk Festival Alan Lomax (Norbert Leo Butz), ma è destino di Dylan come artista muoversi in territori inesplorati, e farlo scrivendo alcuni dei più emozionanti e propulsivi rock 'n' roll mai registrati, come "Subterranean Homesick Blues" e "Like a Rolling Stone".
Questa trasformazione è stata già raccontata in modo brillante nel grande documentario del 2005 di Martin Scorsese "No Direction Home".
Ma "A Complete Unknown", grazie anche all'incredibile performance di Timothee Chalamet, cattura qualcosa che il documentario non ha catturato: l'angoscia nel cuore di Dylan e il pedaggio che ha richiesto su di lui personalmente. Per apportare questo cambiamento nella sua musica e nel mondo, aveva bisogno di fare di più che confrontarsi con un pubblico di fan traditi e urlanti a Newport.
Doveva fissare le forze che gli dicevano di no e sostituire il dubbio con la fede.
Questo è ciò che la musica di Dylan è sempre stata: il suono della fede che illumina l'oscurità. Guardando "A Complete Unknown", il suo viaggio verso la luce diventa il nostro.
Nessun commento:
Posta un commento