Stranger Than Paradise è un titolo non traducibile perché non ha un senso apparente, forse nemmeno un significato recondito ma contiene due parole che sembrano in contrasto: Stranger esprime estraneità/conflittualità rispetto al circostante, Paradise è comprensione/armonia.
Le contraddizioni e l’ibridazione sono le caratteristiche fondamentali del cinema di Jim Jarmusch che, dopo un’opera prima come Permanent Vacation, realizzata nel 1980, pensa a questo film del 1984 insieme a John Lurie, che sarà anche uno degli attori.
Il caso vuole che Wim Wenders, amico del giovane Jarmush, proponga a quest'ultimo di utilizzare la pellicola rimanente del suo Lo stato delle cose per uno breve film che poi, durante le riprese, si trasforma in un lungometraggio prima e, con il passar degli anni, in un cult movie.
Il film è lo specchio dell’animo multietnico di Jarmusch, nato negli Stati Uniti da genitori di origine europea. La madre era una regista teatrale e forse anche per questo motivo soprattutto i primi passi cinematografici di questo curioso autore evidenziano una particolare attenzione per i volti, i corpi, la recitazione con i dialoghi che dettano i ritmi, la commedia umana e i suoi “atti”.
Stranger Than Paradise è suddiviso in tre capitoli. Il primo denominato The new world presenta i protagonisti: Eva, un’adolescente di Budapest che desidera trasferirsi in America e raggiungere la zia a Cleveland, Willie (in realtà si chiama Béla), suo cugino, che la ospita in un appartamento a Brooklyn per alcuni giorni ed infine Eddie, suo compagno di ventura.
Il secondo, One year later, mostra come Willie e Eddie si procurano i soldi per vivere, tra scommesse ippiche e partite di poker. Grazie ad una cospicua vincita, decidono di partire per Cleveland e rivedere Eva.
Il terzo e ultimo, Paradise, riprende i tre personaggi in viaggio verso la Florida che si rivelerà un “paradiso perduto”, squallido e desolato ma con qualche sorpresa e con un brillante e imprevedibile finale.
L’occhio “malincomico” di Jarmusch mostra luoghi e ambienti "delocalizzati" con un bianco e nero dalla luce abbacinante che rende “i posti un po’ tutti uguali”, conditi da un clima di glaciale umorismo e di quel surrealismo che il regista studiò a Parigi, affascinato dal pensiero di André Breton che affermava: “la letteratura è una delle strade più tristi che portano dappertutto.”
Lettere e cinema non sono le uniche passioni di Jim Jarmush, ma esiste fortissimo l’amore per la musica, sia essa free jazz, rhythm and blues, o rock 'n' roll.
Infatti, non per semplice coincidenza, i tre interpreti principali di Stranger Than Paradise erano allora musicisti: John Lurie era leader e sassofonista dei Lounge Lizards, Richard Edson era batterista dei Sonic Youth e poi dei Konk, Eszter Balint era cantante e violinista con sporadiche esperienze teatrali.
Altro interprete “occulto” del film è stato indubbiamente Screamin’ Jay Hawkins , la cui presenza in scena è dovuta alla sua sola “scura” voce che esegue I Put A Spell On You, quasi una colonna sonora. Lo stesso racconto per immagini è scandito da nere dissolvenze che sembrano pause di un pentagramma, stacchi evidentemente accurati e metodici che definiscono i segni d’interpunzione di una narrazione.
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Screamin' Jay Hawkins |
Il film descrive realtà marginali nonostante il contesto storico fosse quello dell’emergente “edonismo reaganiano”, dell’uomo “nuovo” che aspira ad essere vincente perché supportato da una politica governativa che consente alle dinamiche del libero mercato di autoregolamentarsi e che esalta il self-made man. Agli uomini e alle donne di Stranger Than Paradise basta un cappello per distinguersi (che siano seduti davanti a un televisore o a un tavolo da gioco, al cinema o al bar, in auto o a piedi per strada) e proprio un eccentrico copricapo favorirà un’incredibile coup de théâtre finale.
"Mentre stavo girando, qualche estraneo mi ha chiesto che tipo di film stavo facendo. Avrei voluto rispondergli che era una commedia nera semineorealistica, nello stile di un immaginario regista dell'Europa dell'Est ossessionato da Ozu, e abituato al vecchio show televisivo americano The Honeymooners. Invece, ho borbottato qualcosa a proposito di una storia di immigrati ungheresi e della loro immagine dell'America.
Nessuna delle due risposte è giusta, ma la domanda mi rese consapevole del fatto che è più facile parlare dello stile del film che non della storia. Volevo che il film fosse molto realistico nello stile della recitazione e nei dettagli degli ambienti, senza accentuare il fatto che la storia si svolge oggi.
La forma è molto semplice: una storia raccontata a frammenti, con ogni scena che contiene una sola ripresa ed è separata dalle altre da un breve attimo di schermo scuro. Inizialmente, questa forma è stata ispirata da ristrettezze economiche e di tempo; abbiamo voluto trasformare queste ristrettezze in un punto di forza del film.
Carl Dreyer ha scritto in uno dei suoi saggi qualcosa a proposito dell'effetto di semplificazione: più o meno, che se si toglie da una stanza ogni oggetto superfluo, i pochi oggetti che rimangono diventano una specie di indicatori psicologici della personalità dell'occupante.
In Stranger than Paradise, questa idea è applicata, invece che agli oggetti fisici, alla forma con cui la storia è narrata. Sono presentate scene semplici, in ordine cronologico, spesso indipendenti le une dalle altre. Sono presentati solo momenti scelti, da cui sono state eliminate, per la maggior parte, le punte di azione drammatica. I film devono trovare nuove strade per descrivere le emozioni e vite reali, senza manipolare gli spettatori nella solita maniera sdolcinata e senza la recente eliminazione di tutte le emozioni."
Jim Jarmush
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