domenica 14 luglio 2024

John Belushi, the dancer


Tra le tantissime apparizioni di John Belushi allo show Saturday Night Live, ne esiste una molto particolare, che rispecchia alla perfezione l'indole del suo protagonista.
Si tratte di un breve film di circa 15 minuti, diretto da Tom Schiller, nel quale un anziano Belushi si reca in un cimitero per rendere omaggio ai suoi amici, cioè ai vari attori che componevano il cast dello show.
Il Belushi 29enne interpreta il suo sé anziano con un po' di trucco e guardaroba raffinati che si abbinano alla voce gracchiante e invecchiata per rendere l'atmosfera con cruda autenticità. Scendendo dal suo posto con un grugnito, l'anziano Belushi arranca nella neve verso un gruppo di lapidi sotto un vecchio albero spoglio, dicendo tristemente alla telecamera: "Pensavano tutti che sarei stato il primo ad andarmene. Ero uno di quei tipi che 'vivi velocemente, muori giovane, lascia un bel cadavere', sai? Ma immagino che si sbagliassero".
Ed ecco scorrere, sepolte dalla neve, le tombe di Bill Murray, morto a 38 anni, "...quello che è vissuto più di tutti...", di Chevy Chase, fino ad arrivare a quella dell'amico del cuore Dan Aykroyd, morto per un incidente motociclistico, e da lui riconosciuto solo grazie alle sue dita dei piedi palmate.
La battuta finale arriva quando Belushi, apparentemente chiedendo al cielo perché solo lui è sopravvissuto ai suoi amici, alza uno sguardo malizioso verso la telecamera di Schiller, esclamando "...'cause i'm a dancer!", per poi scatenarsi in una danza vivace sulle note della vecchia canzone popolare yiddish "Roumania, Roumania", proprio sulle tombe dei suoi defunti compagni di cast.


Fa impressione rivedere questo filmato, perché mentre da un lato rovescia apparentemente quello che sarà il vero futuro, da un altro appare come una profezia, come un grido immaginario, di chi sa che di lui resterà presto solo ‘la sua opera’, il suo personaggio. E’ Belushi che oggi è realmente ancora vivo. Gli altri protagonisti del SNL sono ‘morti’ in una realtà fatta di piccole commedie, o apparizioni rare in TV.
Incredibilmente, "Don’t Look Back in Anger" - questo il nome del breve film- ci riporta in mente un'ope analoga, quel "Morto Troisi, Viva Troisi" girato alcuni anni prima della morte dell'attore, operando un accostamento apparentemente impossibile, eppure così forte, così immediato.
Due corpi-comici che hanno trovano nella morte prematura (anche se completamente diversa) una loro definizione ‘mitica’. Pur essendo, in fondo, delle persone ‘semplici’, col solo ‘difetto’ di “voler cambiare il mondo”.
E Belushi opera questo tentativo trasformandosi in un vero e proprio ‘corpo multimediale’, coinvolgendo nel suo percorso teatro, TV, cinema, musica, ma anche multiculturale (il mettere insieme il rock’n’roll, rhitm’n’blues, il punk), multietnico (cattolico, albanese, e ‘afroamericano’ nello stesso tempo) ecc…
Perché lui “che odiava i nazisti dell’Illinois”, operò insieme a Dan Aykroyd forse il più significativo recupero – attraverso il blues – della cultura nera. Tutto ciò che è tipicamente “wasp” è completamente lontano dal mondo di Belushi, che è un mondo fatto di mescolamento di razze, di gusti, di generi, di mondi diversi. Belushi e il demenziale hanno operato un completo rovesciamento dell’ottica capitalistica americana, rimettendo il ‘piacere’, il divertimento, lo svacco e il godimento al primo posto nella scala dei bisogni umani. E fa niente se per queste cose uno ci può anche lasciare le penne, ognuno è responsabile della sua vita. Ballare all’impazzata, saltare, cantare e fare le piroette come i Blues Brothers, rappresenta uno degli ultimi tentativi di ‘liberazione culturale’ operato all’interno dell’industria dell’immaginario.


Purtroppo la morte di Belushi funzionerà quasi come uno spartiacque e rigetterà indietro, simbolicamente, molte delle ‘conquiste’ ottenute. Il corpo innanzitutto. Finalmente – con Belushi – non più ‘costretto’ dentro degli archetipi ben precisi, dei modelli culturali che negli anni ‘80 trionferanno (fittness, body building, ecc). Il corpo grasso, sporco e unto di Belushi è la riappropriazione massima di se stessi. Si può essere così ed essere ‘belli’, e anche atletici, disinvolti e travolgenti.
Disse Belushi in una delle rare interviste: “I miei personaggi dicono che va bene essere incasinati. La gente non deve necessariamente essere perfetta. Non deve essere intelligentissima. Non deve seguire le regole. Può divertirsi. La maggior parte dei film di oggi fa sentire la gente inadeguata. Io no”.
Pochi hanno riflettuto sulla lucidità di queste parole di Belushi. Fare in modo che gli altri si sentano a proprio agio nel mondo, fuori dai canoni stabiliti dall’alto, da qualcuno che vuole venderci ‘come dobbiamo aspirare ad essere’. E’ in questa vocazione. Quello che muore ‘per tutti noi’ nello sperimentare una vita diversa, possibilmente più libera, migliore.
E allora, rivedendo Belushi che fa l’ape, o nei panni del capitano dell’Enterprise di Star Trek, o come Hulk, nell’imitazione incredibile di Joe Cocker, o ancora come Bluto in Animal House, come giornalista d’assalto in Chiamami aquila, oppure in quell’incredibile figura archetipa di Jack ‘Blues Brother’, viene impossibile nascondere una certa, malinconica, nostalgia. Per quello che Belushi era e avrebbe potuto essere. Qualcuno dovrebbe prendere tutte le sue performance al SNL e rimostrarle al mondo intero. E’ un peccato che al mondo Belushi sia noto soltanto come quell’uomo vestito di nero, col cappello nero che si nasconde dietro quegli occhialoni neri. Ma non è stato proprio John Carpenter (ricordate Essi vivono?), altro personaggio non riconciliato e non riconciliabile del cinema contemporaneo, a rivelarci che sono proprio gli occhiali neri a farci vedere realmente il mondo?












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