La sentite anche voi?
C'è qualcosa nell'aria, una tensione palpabile che cresce giorno dopo giorno.
Non è solo paranoia, non è solo la normale preoccupazione per un mondo che è sempre stato imperfetto. No, questa è una sensazione più profonda, più viscerale. È come guardare una corda che si tende sempre di più, sapendo che prima o poi si spezzerà. E quando accadrà, quando il mondo intero precipiterà nel caos, sarà troppo tardi per fare qualsiasi cosa.
Scrivo queste parole con un misto di rabbia, paura e disperazione. È difficile rimanere lucidi quando tutto intorno sembra cadere a pezzi. Non riesco a scrollarmi di dosso l'idea che stiamo correndo verso una catastrofe, guidati da una classe dirigente che sembra aver perso completamente il senso della ragione.
E ciò che mi angoscia di più è la sensazione che la maggior parte delle persone non si renda conto della gravità della situazione, o peggio, che non gliene importi nulla.
Guardiamoci intorno: chi sono i leader che guidano il mondo oggi? Persone che, almeno in teoria, dovrebbero avere la saggezza, la responsabilità e la visione per guidare i loro popoli verso un futuro migliore. E invece cosa vediamo? Politici che si comportano come bambini viziati, incapaci di dialogare, pronti a litigare per ogni questione, grandi o piccole che siano, che si sfidano come adolescenti in una gara a chi sputa più lontano, o a chi lo ha più lungo, dimenticando che ogni loro decisione ha conseguenze su miliardi di vite.
Hanno missili, droni, arsenali nucleari, e li trattano come giocattoli. Fanno calcoli freddi su quanto possono spingersi oltre, senza rendersi conto che ogni errore, ogni provocazione, potrebbe essere l’ultima. O forse lo capiscono, ma non gli importa. Questa è la parte che mi spaventa di più.
Ogni loro decisione sembra dettata più dalla volontà di preservare il potere personale che dal desiderio di costruire un mondo più giusto.
Li guardo e mi chiedo: sono davvero folli? O sono semplicemente cinici?
Forse entrambe le cose.
Da una parte, sembrano incapaci di comprendere le conseguenze delle loro azioni. Dall'altra, il cinismo con cui si scontrano sui palcoscenici internazionali, giocando con le vite di miliardi di persone, è semplicemente agghiacciante. Sembrano dimenticare che ogni decisione che prendono, ogni conflitto che alimentano, ci avvicina sempre di più a un punto di non ritorno.
Non è un’esagerazione dire che stiamo vivendo una nuova corsa agli armamenti. E non parlo solo delle armi nucleari, sebbene siano certamente il simbolo più evidente di questa follia. Parlo di tecnologie avanzate, di armi autonome guidate dall'intelligenza artificiale, di droni capaci di distruggere intere città senza che un solo soldato debba sporcarsi le mani. È come se l'intero pianeta stesse partecipando a una gara per vedere chi riesce a inventare il modo più rapido ed efficace per distruggere tutto.
Non posso fare a meno di chiedermi: che senso ha tutto questo? Qual è il fine ultimo?
Non ci sono vincitori in una guerra totale. Non ci saranno terre da conquistare, risorse da sfruttare, popoli da governare. Ci sarà solo desolazione. Eppure continuiamo a costruire, a sviluppare, a investire miliardi di dollari in strumenti di morte.
Forse è proprio qui che risiede la vera follia. Non solo accettiamo questa corsa agli armamenti, ma la giustifichiamo. Le nazioni dicono che è necessario per la loro sicurezza. Ma a che prezzo? La sicurezza di chi? Non certo delle persone comuni, che sono le prime a soffrire ogni volta che un conflitto esplode.
Forse il lato più deprimente di questa situazione è vedere come le masse vengano manipolate. La propaganda è ovunque: ogni nazione punta il dito contro i nemici, giustifica le proprie azioni come necessarie, inevitabili, moralmente giuste. La narrativa è sempre la stessa: "Siamo sotto attacco, dobbiamo difenderci". E la gente ci crede, perché la paura è un’arma potente.
Le informazioni vengono distorte, i fatti alterati, le verità nascoste. Viviamo in un’epoca di sovraccarico informativo, ma paradossalmente siamo meno informati che mai. La maggior parte delle persone non ha idea di cosa stia realmente accadendo.
Forse è perché non riusciamo a immaginare l’apocalisse; sembra troppo grande, troppo lontana, troppo irreale. Ma è proprio questa indifferenza che permette a chi sta al potere di continuare il loro gioco folle.
Mi guardo intorno e vedo persone che continuano la loro vita come se niente fosse. Guardano serie TV, fanno shopping, discutono sui social di argomenti futili. Non li biasimo: è una forma di autodifesa, un modo per non impazzire. Ma mi chiedo: quando si renderanno conto di ciò che sta accadendo? Quando sarà troppo tardi?
Non voglio essere catastrofico, ma come posso non esserlo?
Tutti i segnali indicano che stiamo andando incontro a un conflitto su scala globale. Le tensioni aumentano ovunque: in Europa, in Asia, in Medio Oriente, persino nelle Americhe. Ogni giorno porta una nuova crisi, una nuova provocazione, un nuovo pretesto per scatenare il caos.
E quella che verrà non sarà una guerra come le altre. Non ci saranno vincitori, solo vinti. Le armi che abbiamo creato non lasciano spazio a una vittoria tradizionale. Non ci saranno truppe che marceranno trionfanti attraverso le città conquistate; ci saranno solo città in fiamme, terre contaminate, civiltà distrutte.
Non voglio credere che sia tutto perduto. Non posso accettare che non ci sia più speranza. Ma cosa possiamo fare? Come possiamo fermare questa macchina infernale che sembra essere lanciata a tutta velocità verso l’apocalisse?
Forse la risposta sta nella consapevolezza. Dobbiamo svegliarci, tutti quanti. Dobbiamo smettere di fidarci ciecamente dei nostri leader, di credere alla propaganda, di accettare passivamente quello che ci viene detto. Dobbiamo fare domande, pretendere risposte, alzare la voce.
Dobbiamo anche guardarci dentro, come individui e come società. Perché questa crisi non riguarda solo i governi; riguarda tutti noi. Riguarda il nostro modo di vivere, le nostre priorità, i nostri valori. Se vogliamo evitare l’apocalisse, dobbiamo cambiare. E dobbiamo farlo ora.
Forse queste parole non faranno alcuna differenza. Forse saranno lette, dimenticate, archiviate insieme a milioni di altri appelli disperati. Ma devo provarci. Devo credere che almeno una persona, leggendo queste righe, sentirà lo stesso senso di urgenza, la stessa determinazione a fare qualcosa.
Non so cosa ci riservi il futuro. Ma so che non possiamo più permetterci di restare a guardare. Non possiamo più permetterci di essere spettatori. È il momento di agire, di lottare, di resistere. Perché il mondo che conosciamo, il mondo che amiamo, potrebbe non esserci più domani.
Questo non è solo un appello. È un avvertimento. Il futuro è nelle nostre mani, ma non lo sarà per sempre.
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