venerdì 7 novembre 2025

Cornucopia Live: la messa laica di Björk


Cornucopia Live non è un disco dal vivo nel senso comune del termine, ma la trascrizione rituale di un’esperienza sensoriale che travalica il palco, una messa laica in cui Björk celebra la natura, la tecnologia e il corpo come tre parti inseparabili della stessa liturgia. 
È un album che non documenta, ma reinventa, e questo lo rende irriducibile: non è la semplice registrazione di uno spettacolo, ma una nuova opera che vive nella tensione tra artificio e purezza, tra l’idea di un mondo possibile e la consapevolezza che quel mondo forse non esisterà mai. 
Björk, a sessant’anni quasi, continua a sembrare una creatura proveniente da un’altra dimensione, aliena solo a chi confonde l’audacia con l’estraneità. 
Cornucopia Live è la sua sinfonia vegetale e iperconnessa, un giardino sonoro dove ogni suono cresce come una pianta mutante, dove l’elettronica si fa radice e l’orchestrazione diventa respiro, dove la voce non canta semplicemente ma plasma materia. 
Si ha l’impressione di assistere a qualcosa che si rigenera in tempo reale: melodie che si aprono e si richiudono come corolle, armonie che si sbriciolano in polvere luminosa, ritmi che non marcano il tempo ma lo espandono. C’è qualcosa di mistico in questa resa dal vivo, una purezza che non ha nulla a che vedere con la perfezione tecnica ma con l’intensità di chi non recita, di chi si offre totalmente al suono. 
Björk non esegue i brani: li attraversa come se fossero paesaggi interiori, e ogni canzone è un ecosistema a sé, con la sua flora e la sua fauna emotiva. L’apertura con The Gate suona come una soglia reale, un passaggio iniziatico che ci spinge dentro un universo governato da leggi proprie; Arisen My Senses esplode come un rito di rinascita, Pagan Poetry rinasce in una veste corale che la trasforma in una preghiera planetaria, Body Memory si fa danza tellurica, Tabula Rasa scava nella cicatrice del tempo e la riscrive. 

Cornucopia live Milano

Non c’è nulla di nostalgico in questo ritorno al vivo, anche quando Björk riprende pezzi antichi: ogni brano diventa un frammento di DNA artistico ricombinato in una forma nuova, come se volesse dimostrare che la sua musica, più che essere scritta, cresce, muta, si ibrida. E mentre la maggior parte degli artisti concepisce il live come un compromesso, lei lo trasforma in una dichiarazione di intenti: l’arte non si conserva, si coltiva, e ogni esecuzione è un atto di fecondazione. 
Cornucopia Live, come il titolo suggerisce, è un’offerta traboccante, un eccesso vitale, un corno dell’abbondanza sonora dove tutto è troppo e proprio per questo necessario. Ascoltandolo si ha la sensazione di partecipare a una nascita collettiva, di trovarsi in uno spazio sospeso tra il respiro della terra e il battito dei circuiti, dove la voce di Björk — ancora intatta, ancora selvatica, ancora incandescente — funge da principio vitale. 
È un album che chiede tempo e attenzione, che non ammicca mai, che non cerca consenso. 
In un’epoca in cui tutto tende alla semplificazione, Björk continua a credere nella complessità, nell’ambiguità, nella poesia come forma di resistenza. 
Cornucopia Live è un manifesto contro la sterilità emotiva, un atto d’amore verso il mondo fisico, ma anche un’esplorazione del digitale come estensione sensoriale. 
Ci si può perdere dentro, e probabilmente è questo il punto: smarrirsi per ritrovare un modo diverso di ascoltare. 
Alla fine, ciò che resta non è la memoria di un concerto ma la sensazione di avere respirato qualcosa di vivo, qualcosa che non smette di crescere anche dopo il silenzio. 
È un album che non consola, ma guarisce, perché ci ricorda che la bellezza non è mai data una volta per tutte, che il suono, come la vita, esiste solo finché vibra.


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