C’è un uomo, un eroe dei nostri tempi, che con spirito guerriero e sguardo fiero si è caricato sulle spalle il destino della patria. Matteo Salvini, autoproclamato difensore delle frontiere italiche, non si è mai lasciato intimidire da quelle che altri chiamerebbero "norme internazionali" o "diritti umani". No, Salvini va oltre: con la sicurezza del guerriero medievale, armato non di spada, ma di hashtag e citazioni di Orietta Berti, ha segnato una nuova era della politica nostrana.
Il capitolo più epico della sua carriera si intitola "La grande avventura della Open Arms". Era l’agosto del 2019 quando il Capitano, come lo chiamano i suoi, si è trovato a dover fronteggiare un nemico pericolosissimo: una nave piena di migranti. Non di barbari, no, ma di esseri umani in fuga dalla guerra e dalla povertà. Ma cosa importa? Se si trattava di guerra o povertà è irrilevante; l'importante era salvare il paese da questa "invasione".
La "Open Arms", un’imbarcazione umanitaria, si trovava al largo delle coste italiane con a bordo 147 migranti, stanchi e sofferenti dopo un lungo viaggio. Salvini, con il piglio di un condottiero di altri tempi, decise di impedire loro di sbarcare. Perché? Perché in fondo un’estate italiana senza un po’ di pathos non è un’estate completa.
Gli italiani, abituati a romanzi e soap opera, hanno trovato in questa vicenda una trama avvincente, piena di colpi di scena. Da una parte, l’inossidabile Salvini che, come una roccia, resiste alle pressioni internazionali, alla Corte europea dei diritti dell’uomo, e persino ai suoi alleati di governo. Dall’altra parte, 147 persone che osavano pretendere di scendere da una nave e chiedere asilo. Che coraggio!
Salvini ha mantenuto la sua linea: "Porti chiusi!" gridava su ogni canale social, mentre si immortalava con improbabili infradito ai piedi e braccia alzate in segno di vittoria, in luoghi che spaziavano da spiagge affollate a tavolate di amici in sagre di paese. E mentre gli altri discutevano di dignità, legalità e decenza, il Capitano faceva quello che sa fare meglio: raccogliere like.
Ed ecco che arriviamo al grande finale, il colpo di scena che neanche i migliori sceneggiatori di Netflix avrebbero potuto prevedere: il processo. Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per aver impedito lo sbarco dei migranti della "Open Arms".
Se fosse un film, sarebbe un dramma giudiziario in piena regola, ma con toni alla Gomorra, dove il nostro eroe si difende dall’accusa con quella pacatezza che lo contraddistingue: "L’ho fatto per il bene del Paese". Come se il paese fosse un fortino assediato dai saraceni e lui, il baluardo della civiltà.
Mentre in tribunale si discute del fatto che tenere persone alla deriva per settimane possa costituire sequestro di persona (una piccolezza legale), Salvini continua a fare quello che sa fare meglio: campagna elettorale su Facebook.
E così, mentre gli avvocati parlano di responsabilità giuridiche, il Truce (splendida definizione coniata per il nostro dal quotidiano Il Foglio) tweeta citazioni di poesie patriottiche e meme su di lui in posa alla Garibaldi, con un’aggiunta di bandiere tricolori e font improbabili.
Il suo commento al processo? “Vado a processo per aver difeso i confini della patria!”. Perché sì, Salvini non è un semplice ministro, è un condottiero.
Ma il vero segreto del successo di Matteo Salvini non sta nel controllo delle frontiere, né tantomeno nella gestione dell’immigrazione.
No, il vero campo di battaglia è un altro: i selfie.
Nessuno come lui ha capito che la politica del XXI secolo non si fa con i decreti o le leggi, ma con le foto sorridenti accanto a qualunque cosa vagamente nazionalpopolare.
Salvini con il panino, Salvini con i bagnini, Salvini con la felpa del Milan, Salvini che fa il bagno al mare.
Non importa dove o cosa stia facendo, l’importante è farlo vedere.
I processi? Un dettaglio. Gli avversari politici? Fastidi momentanei. In questo mondo di like e follower, il Capitano sa bene che un sorriso ben piazzato e una buona dose di indignazione populista valgono più di qualunque sentenza. Anche quella della storia.
Che la giustizia faccia il suo corso, ma nel frattempo il Capitano continuerà a fare quello che fa meglio: salvare il paese dai pericoli immaginari, uno slogan alla volta.
E se la realtà dovesse mai opporsi, beh, ci penserà un selfie a risolvere ogni cosa.
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