Michael Gira non è soltanto un musicista.
È un sacerdote dell’estremo, un alchimista del suono che ha trasformato il dolore in rituale, la ripetizione in incantesimo, la brutalità in una forma di estasi.
Nato a Los Angeles nel 1954, cresciuto tra le macerie emotive di una famiglia disfunzionale e una giovinezza errabonda, Gira ha fatto della sua vita una lunga liturgia dell’abisso. Non c’è nulla di decorativo nella sua arte: ogni nota, ogni parola, ogni gesto è un chiodo piantato nella carne della realtà. Le radici della sua poetica sono nella ferita. L’infanzia di Gira è segnata da un padre alcolista, violento, distante, e da un rapporto conflittuale con la madre. A quindici anni fugge di casa, finisce in carcere in Israele per vagabondaggio, conosce la fame, la solitudine, l’abbandono.
Queste esperienze non saranno mai davvero superate: verranno invece trasfigurate nella sua musica, che non chiede perdono né offre consolazione. La sua arte nasce da un trauma mai sanato e da una fame esistenziale insaziabile: una ricerca disperata di significato, di intensità, di assoluto.
E il primo linguaggio che ha trovato per esprimere questa tensione è stato il rumore.
Nel 1982, nel ventre rumoroso della New York post-punk, fonda i Swans, band che si impone subito per la sua violenza sonora quasi sadomasochista. I primi dischi — "Filth", "Cop", "Greed" — sono esperimenti di annichilimento.
Bassi distorti, percussioni ossessive, urla inumane. Nessuna melodia, nessun rifugio. È come ascoltare un corpo mentre viene fatto a pezzi. In quei brani, Gira canta la crudeltà del potere, la schiavitù del desiderio, la brutalità dei rapporti umani.
Le sue parole non sono testi, sono incisioni.
Il sesso è potere, il potere è umiliazione, l’umiliazione è legge.
La musica diventa un carcere acustico, una performance di controllo e sottomissione.
Ma dietro la superficie sadica c’è un meccanismo spirituale: Gira si infligge il dolore per esorcizzarlo. La musica è un rito di purificazione brutale. Michael Gira non ha mai voluto essere una rockstar. La sua figura è sempre rimasta marginale rispetto al mainstream, anche all’interno della scena alternativa. Ma proprio per questo ha assunto nel tempo una statura mitica.
Chi lo segue, lo fa con devozione. Chi lo incontra, lo descrive come intimidatorio, glaciale, monastico. Gira non si concede. Non sorride. Non parla a vanvera. Il suo volto, scavato, con lo sguardo che buca l’obiettivo, è l’immagine di un uomo che ha attraversato il deserto.
La sua voce, bassa e ieratica, è quella di un predicatore dell’Apocalisse. In lui convivono il rigore dell’esteta e la furia dell’anarchico, la disciplina del monaco e la perversione del torturatore.
Verso la fine degli anni ’80, la musica dei Swans inizia a cambiare. Gira incontra Jarboe, cantante e performer dal timbro etereo e inquietante. La loro relazione, tanto artistica quanto affettiva, trasforma radicalmente la band. "Children of God" (1987) è il punto di svolta: un disco in cui la violenza si spiritualizza, si fa liturgia.
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Jarboe e Michael Gira |
Il suono si apre a elementi folk, gotici, persino corali. I testi iniziano a parlare di redenzione, di peccato, di Dio. Ma anche qui non c’è pace: la religione non è conforto, è flagello.
Gira canta come un sacerdote impazzito, Jarboe lo accompagna come un’eco angelica e demoniaca. I due sembrano danzare sull’orlo dell’abisso. La loro relazione è intensissima e devastante, e terminerà anni dopo lasciando scorie profonde in entrambi.
Nel 1997, esausto, Gira scioglie gli Swans. Non vuole più urlare, non vuole più distruggere. Fonda Angels of Light, progetto più intimista e acustico. Ma anche qui, l’oscurità è presente. Solo che adesso si nasconde dietro melodie folk, arpeggi lenti, armonie malinconiche. I testi diventano più narrativi, ma il male è sempre lì: sottopelle, sussurrato.
Gira canta l’America profonda, la solitudine, la memoria, l’amore come prigione. È la fase più "umana" della sua carriera, ma non per questo meno disturbante. Contemporaneamente fonda l’etichetta Young God Records, con cui produce artisti fuori dagli schemi, come Devendra Banhart o Akron/Family. Ma anche come produttore, resta fedele a una poetica anti-commerciale, radicale, visionaria.
Nel 2010, contro ogni aspettativa, Michael Gira resuscita gli Swans.
Ma non sono più gli stessi.
Adesso sono un collettivo sonoro sciamanico, dedito a brani di 20, 30 minuti, fatti di crescendo infiniti, ritmi ipnotici, muri di suono che sembrano voler aprire portali cosmici. Album come "The Seer" (2012), "To Be Kind" (2014) e "The Glowing Man" (2016) sono monumenti di musica rituale. I concerti diventano esperienze sensoriali totali: volumi devastanti, trance collettiva, immersione totale.
Gira dirige la band come un condottiero silenzioso, muovendo le mani come un direttore d’orchestra dello spirito. Questa nuova fase è quella della trascendenza per il rumore. Gira non vuole più solo esprimere il dolore: vuole superarlo, sublimarlo. Ma per farlo, bisogna attraversare il fuoco.
La musica dei nuovi Swans è un battesimo violento, una preghiera fatta di detriti sonori, una comunione pagana. Michael Gira ha oggi più di settant’anni. Non ha mai cercato il successo, né il compromesso. La sua vita è un progetto artistico coerente, una lunga meditazione sulla sofferenza, il potere, la carne, il tempo, la morte.
I suoi dischi non si ascoltano: si vivono.
Si subiscono.
Si attraversano.
Non è mai stato immune da controversie.
Accuse di abuso emotivo, relazioni tossiche, comportamenti autoritari: il suo lato oscuro non è solo artistico. Ma proprio per questo la sua opera è così disturbante e necessaria. Non è l’opera di un santo, ma quella di un uomo che ha deciso di guardare in faccia l’abisso e di portarlo in scena, notte dopo notte, nota dopo nota.
In giorni come questi, caratterizzati da superficialità sonora, da musica usa-e-getta, Michael Gira è rimasto un monaco del suono, un artigiano dell’assoluto.
La sua arte non offre risposte, ma ferite. Non cerca approvazione, ma confronto. È scomoda, inquietante, necessaria.
La sua musica è come lui: implacabile, austera, feroce, spirituale. È il suono dell’uomo che non si arrende. Del corpo che grida.
Dell’anima che cerca la luce, anche — e soprattutto — dentro il buio più fitto.
Playlist:
1. Swans – Power for Power (da "Filth", 1983)
2. Swans – A Screw (Holy Money Version, 1986)
3. Swans – Children of God (da "Children of God", 1987)
4. Swans – Failure (da "White Light from the Mouth of Infinity", 1991)
5. Swans – The Sound (da "Soundtracks for the Blind", 1996)
6. Angels of Light – All Souls' Rising (da "How I Loved You", 2001)
7. Swans – The Seer (da "The Seer", 2012)
8. Swans – Bring the Sun / Toussaint L’Ouverture (da "To Be Kind", 2014)
9. Swans – The Glowing Man (da "The Glowing Man", 2016)
10. Swans – Michael Is Done (da "Leaving Meaning", 2019)
Cronologia discografica essenziale:
1983 – "Filth" (Swans)
1984 – "Cop" (Swans)
1986 – "Greed" e "Holy Money" (Swans)
1987 – "Children of God" (Swans)
1991 – "White Light from the Mouth of Infinity" (Swans)
1995 – "The Great Annihilator" (Swans)
1996 – "Soundtracks for the Blind" (Swans)
2001 – "How I Loved You" (Angels of Light)
2003 – "Everything Is Good Here/Please Come Home" (Angels of Light)
2010 – "My Father Will Guide Me Up a Rope to the Sky" (Swans)
2012 – "The Seer" (Swans)
2014 – "To Be Kind" (Swans)
2016 – "The Glowing Man" (Swans)
2019 – "Leaving Meaning" (Swans)
2023 – "The Beggar" (Swans)