giovedì 5 giugno 2025

Un anno di ''L’Urlo'': il suono lungo della resistenza



Se siete contenti delle notizie che quotidianamente vi vengono propinate, state sereni. Se non vi frega un cazzo di quello che succede intorno a voi, state sereni. Se siete contenti della musica di merda che ascoltate in tv, state sereni.  Se vi stanno bene le facce e soprattutto le azioni di quelli che ci dovrebbero governare, se godete nel vedere di nuovo utilizzati i manganelli e non aspettate altro che il ritorno dell'olio di ricino, state sereni.
                            Ma se tutto questo non lo sopportate più, URLATE!!

Lo scrivevamo nel primo post. Era una dichiarazione d’intenti, una premessa necessaria. Un grido non è sempre solo dolore: può essere anche avvertimento, veglia, veggenza. Un monito che squarcia il silenzio costruito ad arte, un colpo al diaframma della realtà filtrata, piegata, anestetizzata. È passato un anno da quando questo spazio digitale ha preso vita con un’urgenza quasi fisica. 
Un anno da quando L’Urlo ha cominciato a risuonare, disturbando, incalzando, raccontando. Senza voler piacere a tutti. Senza rincorrere consensi facili. Ma con la fede laica nella parola che resiste, nel pensiero che si fa controcanto, nell’arte che ancora osa e offende il potere con la sua sola esistenza.

Oggi celebriamo. Ma non in tono trionfale. Non siamo qui per stendere tappeti rossi o contarci come una comunità chiusa. Siamo qui per guardarci negli occhi — lettori, autori, artisti, ribelli, visionari — e chiederci: cosa abbiamo fatto in questo anno? Cosa abbiamo visto, ascoltato, imparato? E soprattutto: cosa dobbiamo ancora fare?

Quando si decide di aprire un blog, si mette in moto una macchina vulnerabile e testarda. Vulnerabile perché esposta al frastuono inarrestabile della Rete, all’irrilevanza programmata degli algoritmi, alla bulimia del contenuto usa-e-getta. Testarda perché sa che scrivere oggi, senza padrini né padroni, è un atto politico.
La nascita di L’Urlo non è stata casuale. È avvenuta in un tempo preciso, in un’Italia che si sbriciola dietro l’illusione della stabilità, in un’Europa che arretra culturalmente mentre moltiplica le barriere fisiche e simboliche, in un mondo dove la verità ha perso il suo volto e il dissenso è ridotto a nevrosi. L’urgenza era quella di dire, ma anche di fare dire. Di raccogliere le voci isolate che si ostinano a pensare, a creare, a gridare fuori dal coro.
Non volevamo un blog generalista, non volevamo un archivio per articoli dimenticabili. Volevamo un luogo. Uno spazio abitabile. Un laboratorio. Una fucina. Una barricata culturale. È da qui che siamo partiti.



Viviamo in un’epoca che ha sostituito il dibattito con la polarizzazione, la riflessione con la performance, l’analisi con il meme. In questa condizione, pensare criticamente non è solo difficile: è scomodo. Chi pensa troppo viene deriso, etichettato come ''intellettuale'', parola che oggi suona come insulto. Chi osa fare domande viene trattato da complottista o da piantagrane. Chi cerca di scavare sotto la superficie rischia di essere tacciato di pessimismo, elitismo o, peggio, snobismo culturale.
Ma noi non ci stiamo.

In questo primo anno, L’Urlo ha praticato la critica come forma di disobbedienza. Abbiamo parlato di musica indipendente non per fare classifiche, ma per raccontare mondi sonori che resistono all’omologazione commerciale. Abbiamo recensito film vecchi e nuovi come chi cerca visioni da decifrare, non solo da intrattenere. Abbiamo analizzato libri, pensieri, immagini, silenzi. Abbiamo scritto contro la guerra, contro il razzismo, contro l’assuefazione. Non per moralismo, ma per scelta. 
Per necessità.
 Perché fare cultura, oggi, è decidere da che parte stare.

Uno dei temi portanti del  blog è stato il controcanto. Non la polemica sterile, ma la voce altra. Quel filo sotterraneo che si oppone alla narrazione dominante e offre visioni alternative. In quest’anno abbiamo parlato di artisti come Iosonouncane, Dalila Kayros, Angélique Kidjo, Jim Morrison, Anita Berber. Figure scomode, ibride, non addomesticabili. Abbiamo celebrato la memoria delle giornate del 25 aprile e del Primo Maggio non come riti civili ormai vuoti, ma come detonatori di pensiero critico. Abbiamo pubblicato articoli sul potere della disinformazione, sull’LSD come via alla conoscenza, sulla strategia della tensione, sulla persecuzione di Julian Assange.
Ogni parola pubblicata è stata un piccolo gesto di resistenza, un mattone contro l’appiattimento. Non perché pensiamo di salvare il mondo con un blog. 
Ma perché sappiamo che ogni parola detta bene, ogni parola che scava, che svela, che disturba, può essere l’inizio di una crepa.
E a noi piacciono le crepe. Lì entra la luce, diceva Leonard Cohen. Lì entra anche il dubbio. Il dissenso. La bellezza che non chiede il permesso.


Non siamo più solo una voce. In dodici mesi, L’Urlo è diventato un coro. I lettori sono aumentati, lentamente ma con costanza. Alcuni ci criticano: e va bene così. L’Urlo non vuole piacere a tutti. Vuole parlare a chi cerca qualcosa che non trova altrove.
Abbiamo costruito rubriche: Lookin’ back, dedicata agli album che hanno resistito al tempo e ne sono usciti più forti. Magnifica Ossessione, per i film che hanno scavato nell’anima di una generazione. La biblioteca di Babele, nata per raccontare libri che sfidano la linearità, l’oblio, l’obbedienza. 
Ogni rubrica è una costellazione, una mappa interiore, una piccola guida per chi vuole perdersi nel pensiero e non uscirne più uguale.
Abbiamo imparato a non rincorrere le mode. A non inseguire click. A preferire la profondità alla viralità. In un mondo dove l’informazione dura meno di una sigaretta, ci siamo presi il tempo di scrivere lunghi articoli. Di rileggere. Di dubitare. Di cambiare idea. Un blog lento, sì. Ma vivo. Respirante. Sognante.

Un anno è poco, eppure è già storia. Sappiamo che il cammino è lungo. Ma non ci interessa arrivare. Ci interessa il percorso, la compagnia, l’eco che lascia ogni passo.
Sappiamo che non basta denunciare. Serve anche immaginare. Sognare. Abitare il possibile. Per questo vogliamo continuare a scrivere con la stessa rabbia che ci ha fatto iniziare. Ma con ancora più amore. Perché la rabbia passa, ma l’amore resta. L’amore per le parole giuste. Per le storie dimenticate. Per la musica che ci salva. Per le immagini che ci ossessionano. Per la bellezza che resiste al rumore.
Questo anniversario è anche vostro. Di chi ci ha letto in silenzio. Di chi ci ha scritto per dirci “grazie”. Di chi ha condiviso un articolo con una frase: “leggilo, ne vale la pena”. Di chi ci ha criticati con intelligenza. Di chi ci ha scoperti per caso e poi è tornato.

Non siamo una community, non siamo un marchio. Siamo un’idea. Un’onda lunga. Un urlo che si propaga. E se oggi esistiamo, è anche grazie a voi. A voi che ci avete ascoltato. Che ci avete dato senso.
Non possiamo promettere che saremo perfetti. 
Ma promettiamo che saremo veri.
Fino all’ultima parola.

Perché continuiamo?

Perché scrivere è resistere.
Perché leggere è un atto d’amore.
Perché ascoltare un disco di trent’anni fa può salvare la giornata.
Perché un film visto al momento giusto può cambiare una vita.
Perché un libro può essere una bomba o una carezza.
Perché l’arte non serve, ma ci tiene vivi.
Perché la cultura non è decorazione: è lotta.
Perché il silenzio ci spaventa.
Perché il pensiero non ha scadenza.
Perché le parole, se dette bene, fanno rumore.

Continuiamo per questo.

E continueremo a lungo.




Nessun commento:

Posta un commento

N4POLI C4MPIONE

NAPOLI CONTRO TUTTI. UN TRICOLORE CHE BRUCIA NEI PALAZZI DEL POTERE Hanno provato a sminuirla, hanno cercato in tutti i modi di delegittim...

Archivio