Il buio si avvicina. Anzi è già arrivato.
Perché Dostoevskij è una serie segnata dall’oscurità.
Questa non è semplicemente una serie televisiva; è un'opera unica che sfida i confini del linguaggio visivo e narrativo, un'esperienza che ridefinisce le aspettative del pubblico contemporaneo. I fratelli D’Innocenzo, noti per la loro capacità di esplorare le pieghe nascoste della società e dell’animo umano, portano il loro stile oltre il grande schermo, creando un progetto che amplifica il loro immaginario in modi inaspettati e audaci. È un viaggio senza compromessi nei meandri del male, che ci costringe a confrontarci con la banalità e l’imprevedibilità della malvagità, qui radicata in contesti di desolazione umana e, allo stesso tempo, di scarsità materiale e morale.
Questa serie non si limita a raccontare: Dostoevskij ci travolge con immagini di una forza brutale, a tratti repulsiva, che diventano necessarie per il processo catartico a cui l’opera mira. Le scelte visive, dominate da una fotografia potente e simbolica, trasformano il disgusto in riflessione.
Guardare Dostoevskij è come attraversare un tunnel oscuro e inquietante, un’esperienza che non si può evitare, perché è attraverso quel disagio che si trova un'uscita verso una consapevolezza più profonda.
A prima vista, Dostoevskij potrebbe sembrare l’ennesima variazione sul tema del detective tormentato, ma i D’Innocenzo stravolgono ogni aspettativa. Al centro c’è Enzo Vitello, un poliziotto interpretato magistralmente da Filippo Timi, un uomo spezzato, un relitto umano: brutto, sporco, privo di grazia, appesantito da una dipendenza che lo rende quasi uno zombie, se non fosse per il barlume di determinazione che lo spinge a catturare un serial killer.
Questo assassino, soprannominato "Dostoevskij" per lo stile letterario delle lettere che lascia accanto alle sue vittime, è una presenza elusiva, quasi spettrale. Non lo vediamo mai in azione; la sua figura si manifesta solo attraverso gli effetti devastanti che lascia dietro di sé: cadaveri, lettere, luoghi sui quali egli ha impresso il proprio timbro di tragedia.
Enzo, però, non lotta solo contro un nemico esterno. La sua vita privata è un disastro: ha abbandonato sua figlia Ambra, nella speranza di proteggerla, ma quel distacco ha creato un vuoto che l’ha trascinata verso un’esistenza di miseria.
Ambra è una giovane donna solitaria, smarrita, schiava della droga e della disperazione. Il loro rapporto è un alternarsi di tensioni, silenzi e scontri che feriscono più di qualsiasi omicidio. È in questo legame incrinato che la serie trova il suo cuore emotivo, spingendoci a soffrire insieme a loro episodio dopo episodio.
Sebbene apparentemente ispirato a famose serie come "True Detective" o "The Killing", Dostoevskij si distingue per il suo deciso radicamento nella realtà italiana. L’ambientazione, probabilmente riconducibile al delta del Po, con le sue lande desolate, i piccoli paesi dimenticati e gli edifici abbandonati, diventa protagonista tanto quanto i personaggi.
Questi luoghi, intrisi di una bellezza crepuscolare, amplificano la sensazione di isolamento e abbandono, come se il mondo stesso fosse in decadenza.
I D’Innocenzo utilizzano la macchina da presa con maestria, indugiando su dettagli che sembrano irrilevanti ma che, nel loro insieme, costruiscono un’atmosfera di tensione crescente. Le riprese delle case vuote, dei paesaggi fangosi, dei cieli plumbei non solo alimentano l’orrore, ma creano anche momenti di struggente bellezza. È come se la natura stessa, con le sue crepe e imperfezioni, testimoniasse la lotta interiore dei protagonisti.
Enzo Vitello è molto più di un semplice poliziotto tormentato. È un uomo alla deriva, consumato dal senso di colpa e dalla disperazione, ma anche determinato a trovare un senso nella sua vita attraverso la caccia al killer. Tuttavia, la serie non si limita a dipingerlo come un eroe tragico. Il colpo di scena finale, che svela una verità scomoda e sconvolgente sul suo passato, ribalta completamente la nostra percezione.
La forza di Dostoevskij non risiede solo nella trama e nella caratterizzazione dei personaggi, ma anche nella sua struttura e distribuzione. I fratelli D’Innocenzo hanno voluto rompere con i formati tradizionali, proponendo la serie come un evento irripetibile. Dopo un’anteprima milanese, la serie è stata presentata alla Berlinale, seguita da una distribuzione cinematografica limitata e infine da una maratona televisiva su Sky Atlantic.
Questo approccio non convenzionale ha esaltato la natura straordinaria del progetto, rendendolo un’esperienza collettiva e individuale allo stesso tempo.
Fratelli D'Innocenzo |
Guardare Dostoevskij significa immergersi in un universo cupo e disturbante, affrontare domande scomode e uscire trasformati. È una serie che sfida, provoca e lascia il segno, un’opera che non si può ignorare. I fratelli D’Innocenzo hanno creato qualcosa di unico, un viaggio che, nonostante il dolore e la repulsione che provoca, diventa essenziale per comprendere meglio la complessità dell’animo umano.
Con Dostoevskij, il male non è solo un tema narrativo: è una lente attraverso cui guardare il mondo, le sue contraddizioni e le sue ferite. E, anche se ciò che vediamo può farci male, è un dolore che vale la pena affrontare.
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