Ieri, in Ucraina, una chiesa è stata colpita da un bombardamento russo mentre era gremita di fedeli riuniti per celebrare la Domenica delle Palme. È accaduto nei pressi della città di Nikopol, nella regione di Dnipropetrovsk.
Un luogo di pace trasformato in teatro di orrore, una liturgia interrotta dall’esplosione del fuoco. Tra le navate, canti e preghiere si sono mescolati a grida e macerie. Alcuni sono morti, altri feriti. Tutti, però, sono stati feriti nell’anima.
Un luogo di pace trasformato in teatro di orrore, una liturgia interrotta dall’esplosione del fuoco. Tra le navate, canti e preghiere si sono mescolati a grida e macerie. Alcuni sono morti, altri feriti. Tutti, però, sono stati feriti nell’anima.
Anche noi.
Non si tratta più solo di una guerra — come se fosse possibile ridurre l’orrore a una parola — ma di un attacco deliberato al cuore stesso dell’umanità. Colpire un luogo sacro durante una celebrazione religiosa è un atto che non ha giustificazioni militari, strategiche o politiche.
Non si tratta più solo di una guerra — come se fosse possibile ridurre l’orrore a una parola — ma di un attacco deliberato al cuore stesso dell’umanità. Colpire un luogo sacro durante una celebrazione religiosa è un atto che non ha giustificazioni militari, strategiche o politiche.
È barbarie.
È sacrilegio.
È la negazione assoluta di ogni codice, umano o divino.
Non è la prima volta.
L'aggressione russa colpisce ormai simboli e corpi, con la stessa disumanità. L’orrore è sistemico, non accidentale.
Eppure, la fede resiste. Anche ieri, mentre la chiesa crollava, le parole del Vangelo di Matteo risuonavano nella memoria di chi era sopravvissuto: "Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli."
Ma quanto ancora dovrà soffrire un popolo che, oltre alla distruzione materiale, vede profanata anche la sua spiritualità?
Commentando l'accaduto, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha pronunciato parole durissime: "Solo una feccia completamente fuori di testa può agire in questo modo".
Eppure, la fede resiste. Anche ieri, mentre la chiesa crollava, le parole del Vangelo di Matteo risuonavano nella memoria di chi era sopravvissuto: "Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli."
Ma quanto ancora dovrà soffrire un popolo che, oltre alla distruzione materiale, vede profanata anche la sua spiritualità?
Commentando l'accaduto, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha pronunciato parole durissime: "Solo una feccia completamente fuori di testa può agire in questo modo".
"Solo un bastardo potrebbe comportarsi così", ha scritto su Telegram il presidente ucraino.
Un linguaggio crudo, rabbioso, senza filtro.
Alcuni analisti storceranno il naso, parleranno di diplomazia, di retorica presidenziale, di scivoloni comunicativi.
Ma chi, dopo un gesto del genere, può pretendere compostezza?
Ma chi, dopo un gesto del genere, può pretendere compostezza?
Chi può invocare le buone maniere quando viene bombardato un luogo di culto pieno di civili?
Zelensky ha dato voce a un dolore collettivo. Il termine che ha usato — bastardo — non è un insulto fine a se stesso.
Zelensky ha dato voce a un dolore collettivo. Il termine che ha usato — bastardo — non è un insulto fine a se stesso.
È la forma cruda della verità.
È ciò che resta quando ogni altra parola risulta insufficiente, sterile, vuota. È la rabbia che prende forma. E in questo caso, è anche una dichiarazione politica: chi attacca i deboli, chi uccide bambini, chi bombarda chiese, chi non risparmia neppure i simboli religiosi, non merita il decoro dei titoli ufficiali. Non è uno statista.
È, appunto, un bastardo.
Un assassino.
L’attacco alla chiesa di Nikopol non è un’eccezione. È parte di una strategia del terrore che ha colpito ospedali, scuole, centrali elettriche, mercati. Ogni struttura civile viene trasformata in un possibile obiettivo. È la logica della "guerra totale", quella che non fa distinzione tra il fronte e la retroguardia, tra chi combatte e chi prega.
In questo scenario, il silenzio diventa complicità. Le mezze misure diventano codardia. Occorre dirlo con forza: quello che è avvenuto ieri è un crimine di guerra.
E chi lo ha ordinato, sostenuto, giustificato o taciuto ne porta il marchio.
In un tempo anestetizzato, in cui le notizie si susseguono e si dimenticano alla velocità di uno scroll, è fondamentale mantenere viva l’indignazione. Non come esercizio moralista, ma come forma minima di resistenza morale. La guerra cerca di normalizzare l’orrore.
In un tempo anestetizzato, in cui le notizie si susseguono e si dimenticano alla velocità di uno scroll, è fondamentale mantenere viva l’indignazione. Non come esercizio moralista, ma come forma minima di resistenza morale. La guerra cerca di normalizzare l’orrore.
Il nostro compito, di cittadini e di esseri umani, è rifiutare questa normalizzazione.
Ogni bomba su una chiesa, ogni missile su un ospedale, ogni razzo su una scuola deve restare un trauma nella coscienza collettiva.
Ogni bomba su una chiesa, ogni missile su un ospedale, ogni razzo su una scuola deve restare un trauma nella coscienza collettiva.
Deve bruciare.
Deve gridare.
Perché se smettiamo di indignarci, allora hanno vinto loro.
Perché se smettiamo di indignarci, allora hanno vinto loro.
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