mercoledì 16 aprile 2025

Sardegna misterica: Dalila Kayros

 

La fascinazione ti attanaglia subito, già subito dopo il primo approdo in Sardegna. 
L’aria ha un profumo diverso, un misto di macchia mediterranea, di sale marino e di tempo sospeso. I colori sono più intensi: il blu profondo del cielo e del mare, il verde scuro dei ginepri, il rosso della terra antica. Ma è quando ti addentri nell’entroterra che la Sardegna smette di essere solo una bellezza naturale e diventa qualcos’altro: un enigma.
Ti trovi davanti a un nuraghe. Una torre di pietra ciclopica, costruita senza malta, con pietre enormi posate una sull’altra con una sapienza che la scienza moderna ancora non riesce del tutto a spiegare. Nessuna scrittura, nessun documento lasciato dai costruttori. Solo queste torri, mute e orgogliose, che resistono da quasi quattromila anni. Il silenzio attorno è totale. Ti sembra di sentire un’eco che viene da lontano, forse voci, forse il vento tra le rocce. 
È un passato che non si concede facilmente, ma che ti guarda.
E ti guarda con occhi che hanno attraversato i secoli, come quelli dei Giganti di Mont’e Prama. Statue colossali scolpite nella pietra, i cui occhi cerchiati sembrano traforare il tempo. Arcieri, pugilatori, guerrieri: un esercito immobile emerso dalla terra dopo millenni. Nessuno sapeva che una civiltà capace di realizzare simili opere fosse mai esistita in Occidente in quell’epoca. È come se la storia avesse voluto custodire un segreto, e tu, spettatore ignaro, sei appena stato ammesso al suo cospetto.
E allora ti accorgi che la Sardegna non è solo un’isola: è una terra sospesa tra mito e realtà. Una terra dove il mistero non è un dettaglio culturale, ma una forza viva.
E come ogni forza viva, vibra.
E vibra ancora oggi, forse ancora più di prima, anche grazie alle voci di suoi giovani abitanti che, rifuggendo dall'etnico da cartolina, propongono una musica che scava nell’inconscio collettivo dell’isola per restituirlo in suoni alieni, sciamanici, futuristi.

Dalila Kayros

Dalila Kayros è una delle voci più radicali e inclassificabili di questa scena. La sua musica è un attraversamento: corpo, voce, macchina e spirito si fondono in un flusso che non rassicura, ma trasforma. L’ultimo album Khthonie è il culmine di questa ricerca, un'opera che mescola elettronica sperimentale, vocalità destrutturate e un senso rituale che arriva da lontano, forse proprio dalle stesse energie che scolpirono i Giganti di Mont'e Prama.
Non ci sono strofe e ritornelli. Non c’è una narrazione lineare. C’è un'esperienza. 
E questa esperienza è fisica, viscerale, quasi sciamanica. Le tracce sono costruite come passaggi interiori: Nea, Sakramonade, Mitza, il trittico iniziale, titoli che già dichiarano un percorso, un disfacimento e una rinascita, e che ci calano pian piano in un vero e proprio rituale pagano consumato danzando senza freni.
La voce di Dalila Kayros è il centro pulsante: non canta, evoca. A volte urla, a volte sussurra, spesso si frammenta come se parlasse una lingua arcaica o aliena. Il lavoro sul timbro, sul respiro, sull’effetto elettronico non è decorativo: è la lingua di un corpo che si fa suono.


Questa nuova sensibilità, non riconducibile ad un movimento codificato quanto piuttosto ad un comune sentire, assolutamente vivo, si riscontra in opere recenti di altri artisti sardi.
Jacopo Incani/Iosonouncane con il suo IRA, così come il precedente DIE, ha costruito un labirinto sonoro e concettuale che ha segnato un punto di svolta nella musica italiana contemporanea. Daniela Pes, con Spira, ha portato una vocalità rarefatta e liquida che sembra sgorgare dalle profondità della terra e dell’acqua. Kayros, invece, è la più elettrica, la più votata all’inconscio tecnologico e al rituale primordiale insieme.
Tutti e tre, però, sembrano essere spinti dalla stessa urgenza: decostruire la narrazione dominante, linguistica e culturale, e costruirne una nuova, dove l’identità sarda non è folklore ma potenza, non è tradizione ma visione.

Daniela Pes
C’è qualcosa in questa terra che invita al non detto, all’oscuro, al simbolico. Forse è il silenzio che avvolge i paesi dell’interno. Forse sono i venti che soffiano da ogni direzione, portando sabbia e voci. Forse è il fatto che qui il tempo si muove in modo diverso, come se il presente fosse solo una piega temporanea tra il mito e il futuro.

Khthonie non è un disco per tutti. È un’esperienza radicale, che chiede ascolto profondo e apertura mentale. Ma è proprio questo che lo rende così prezioso. È una prova che dalla Sardegna non arrivano solo richiami nostalgici o estetiche cartoline, ma una musica capace di scavare, di disturbare, di aprire nuove strade.
Come un nuraghe, come i Giganti di Mont'e Prama, la musica di Dalila Kayros non si spiega facilmente. Ma la senti. E ti resta dentro.


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