lunedì 23 settembre 2024

Le mille storie di Napoli/4 - Il Palazzo del Diavolo

 


Antonio Penne, segretario di Ladislao di Durazzo, Re di Napoli, nel 1409, era un uomo molto potente a corte, tanto che il sovrano gli concesse di essere sepolto, insieme ai suoi familiari, nella chiesa di Santa Chiara, privilegio sino a quel momento riservato solo ai membri della famiglia reale.
Egli viveva nell'omonimo Palazzo Penne, fatto costruire da Antonio Baboccio di Piperno, che era probabilmente l'architetto di fiducia della famiglia, visto che costruì anche il sepolcro Penne all'interno della Basilica di Santa Chiara.
Il palazzo, di dimensioni veramemte enormi, con delle scuderie che potevano ospitare ben quaranta cavalli e sei carrozze, presenta sulla facciata e sul portale numerose incisioni di simboli, che testimoniano sia la religiosità che la scaramantica superstizione dell'alto dignitario di corte.
Sul portale due mani mantengono un lungo nastro sul quale è incisa una frase del poeta latino Marziale:
"Qui ducis vultus nec aspicis ista libenter omnibus invideas invide nemo tibi" (tu che giri la testa, o invidioso, e non guardi volentieri questo (palazzo), possa di tutti essere invidioso, nessuno (lo è) di te).
Sono ovviamente presenti, tra le varie incisioni, anche il giglio, simbolo della dinastia angioina, e la piuma, simbolo della famiglia Penne.


Secondo la leggenda, il palazzo fu costruito in una sola notte, dal diavolo in persona, al quale Antonio Penne, innamoratosi perdutamente di una giovane e disposto a tutto pur di possederla,  chiese aiuto, firmando con lui un patto con il sangue.
La giovane, già corteggiata da molti altri e indecisa trai suoi tanti spasimanti, aveva posto delle condizioni impossibili e promesso che, chi fosse riuscito a costruire un sontuoso palazzo in una sola notte, sarebbe stato il suo sposo.
Antonio Penne non si perse d’animo: decise di stringere un patto con il demonio, che gli fece firmare un contratto scritto e firmato con il sangue in cambio della sua anima, proprio come Christopher Marlowe nella sua celebre opera aveva raccontato di quel patto che Doctor Faustus firma con Mefistofele. 
Ma con furbizia, il contratto di Penne prevedeva una clausola ben precisa: la sua anima sarebbe stata ceduta al demonio solo se il demone Belzebù fosse stato capace di contare tutti i chicchi di grano che si trovavano sparsi nel cortile del Palazzo Penne.
Dopo la costruzione del palazzo, arrivò finalmente la resa dei conti: l’astuto Antonio Penne aveva sparso per tutto il terreno dei chicchi di grano mischiati a della pece in modo tale che i chicchi, attaccandosi alla pece, sarebbero diventati difficili da contare in maniera corretta. 
Infatti, quando il demonio Belzebù comunicò il numero dei chicchi che a suo avviso erano stati disseminati per tutto il terreno, non fu preciso, errando di ben cinque chicchi.
Oramai Penne aveva ingannato il diavolo: Belzebù, costretto a dover rispettare il patto che era stato firmato la notte scorsa, decise di sottostare e di incassare il colpo. Subito dopo essersi fatto il segno della croce, decise di aprirsi e sprofondare in una lunga e profonda voragine proprio nel palazzo che lui stesso aveva aiutato ad innalzare. Oggi è possibile ricondurre questa leggenda alla presenza di un pozzo che è ancora chiuso, ma che è ben visibile solo a chi sceglie di visitare Palazzo Penne. All’interno del pozzo pare ci sia l’anima del demonio che è pronto ad uscire e a vendicarsi a causa dell’inganno che precedentemente aveva subito.
Le cose però non andarono come previsto per Antonio Penne visto che la donna da lui amata gli preferì un altro uomo, con il quale si era già precedentemente impegnata.

Tomba di Antonio Penne - Chiesa di S. Chiara

La storia del palazzo, forse proprio a causa della presenza di quel diavolo imprigionato nel pozzo, non è stata, nei secoli successivi, molto felice.
Alla morte di Antonio Penne infatti, il palazzo ebbe vari proprietari fino a quando, nel secolo XV, il principe Marco Antonio Capuano non lo perse per debiti di gioco.
Dopo essere passato ai Padri Comaschi, che lo trasformarono in noviziato, in seguito all'abolizione degli ordini religiosi, l'edificio divenne di proprietà di Teodoro Monticelli, un illustre vulcanologo, appartenente ai frati celestini.
L'influsso malefico del diavolo imprigionato nel pozzo colpì anche quest'ultimo che, in conseguenza dei moti rivoluzionari del 1799, venne condannato a scontare dieci anni di carcere sull'isola di Favignana, dove però ebbe modo di proseguire i suoi studi.
Grazie a questi egli divenne un eminente vulcanologo tanto che, una volta graziato per intercessione del Papa Pio VII, ritornò a Napoli, trasferendo all'interno del Palazzo Penne la sua biblioteca e la sua imponente collezione di pietre, ora trasferite presso il Museo di Mineralogia.


Alcuni anni fa, proprio di fronte al nobile palazzo di Piazzetta Monticelli, vi era "a banca e ll’acqua di Nennella"
La donna, che di mestiere faceva l’acquaiuola, dispensava con la sua preziosa banca ben cinque diverse tipologie di acqua : l’acqua ferrata, l’acqua di Telese, l’acqua zuffregna, l’acqua del Serino e l’acqua della Madonna.


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