Nei miei precedenti articoli sulla città di Napoli, mi sono soffermato su storie legate alle innumerevoli leggende che aleggiano negli angoli della città.
Stavolta voglio invece raccontare una storia nettamente diversa dalle precedenti, che ha scavato un solco nella memoria dei napoletani ed in particolare delle persone, compreso il sottoscritto, che vivevano nei quartieri di Bagnoli/Fuorigrotta.
Tra i tanti ricordi della mia infanzia/adolescenza vissuta in quella zona ve ne sono due assolutamente indelebili, entrambi legati al complesso siderurgico dell'Italsider: l'intenso colore rosso che il cielo assumeva di notte quando veniva effettuata la "colata", e il suono profondo e lungo della sirena che, per tre volte al giorno, alle 7.00, alle 15.00, e alle 21.00, rompeva l’aria superando il fragore acuto degli altoforni e dei laminatoi, annunciando il "cambio turno"
Un suono "amico" per chi aveva già dato in termini di fatica e di sudore e filava a casa , quasi sempre a pochi passi dall’inferno di fusioni e scintille, ma "pesante" per chi invece si accingeva a iniziare il proprio turno.
Il 20 ottobre 1990 venne decretata la fine di una storia iniziata ben 84 anni prima, nel 1906, con la «Legge per il risorgimento economico di Napoli» del 1904, ispirata e fortemente voluta dal meridionalista Francesco Saverio Nitti.
Chiudeva il centro siderurgico di Bagnoli, uno dei più grandi d’Europa, quello che gli operai e gli abitanti del quartiere chiamavano "o' cantiere".
Si consumò così il destino della "città del ferro", la cui storia si intreccia indissolubilmente con quella della Napoli operaia e delle rivendicazioni sociali, con la vita di generazioni di lavoratori, con i percorsi dell’Italia industriale.
I processi dell’economia, le guerre mondiali, le lotte sociali e politiche scandiscono le tappe della vita dell’Ilva-Italsider di Bagnoli, della fabbrica per antonomasia della città di Napoli, che ha rappresentato un luogo emblematico per le sue dimensioni, per la concentrazione di forza-lavoro, per il contributo alla crescita economica, incarnando nel Mezzogiorno le speranze di trasformazione e di riscatto.
Entrato in funzione nel 1910, lo stabilimento diede inizialmente lavoro a circa 1200 operai, che operavano su un'area che si sarebbe poi estesa fino 2 chilometri quadrati.
Così iniziò la storia di quella che avremmo conosciuto come Ilva-Italsider di Bagnoli, un complesso industriale che, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, avrebbe visto raddoppiare il numero degli operai, arrivati all’epoca a 2.500 unità, poi aumentati ulteriormente nel corso del conflitto.
In quella circostanza l’Ilva fu tra le prime aziende a ottenere il requisito dell’ausiliarietà, con il quale poté sistematizzare l’attività produttiva in funzione delle esigenze belliche del Paese.
In quegli anni cominciava il percorso che avrebbe portato lo stabilimento a contribuire, in modo rilevante, alla storia industriale d’Italia che aveva visto sino a quel momento sorgere impianti prevalentemente nelle regioni del Nord, imprimendo alle stesse un modello di sviluppo assolutamente diverso da quello di un Meridione la cui immagine era legata a una cultura prevalentemente rurale.
Un’immagine che non tiene conto di importanti esperienze industriali come quella qui raccontata.
Oggi fa quasi impressione osservare quel che resta di quelle strutture titaniche che raccontano una lunga storia di civiltà del lavoro, di umanità, ma anche di immenso dolore, per le conseguenze subite dai lavoratori e dai residenti a causa del disastro ambientale che si stava perpetrando silenziosamente.
Il vento che soffia, e che attraversa i tralicci, i cavi, le lamiere ormai arrugginite, è il vento del tempo che passa, della Storia.
Il nome Bagnoli è rimasto legato alla lunga vicenda dell’Ilva-Italsider, ma è prima di tutto quello del quartiere che accolse lo stabilimento. Si tratta di un’area di quasi 8 chilometri quadrati e di oltre 23.000 abitanti che si trova nel quadrante occidentale di Napoli e che, insieme a Fuorigrotta, dà vita alla decima municipalità del capoluogo campano.
Ci troviamo nella zona flegrea, territorio di natura vulcanica, turbolento e irascibile, dove si avvertono con intensità le scosse sismiche. Una terra inquieta che alle passioni della gente unisce l’irruenza del sottosuolo.
Tutto sembra, per questo, eterno e precario allo stesso tempo, tutto soave e insieme raccapricciante. Dal pontile di Bagnoli, una passeggiata lunga quasi un chilometro, si offre l’immagine delle colline che circondano il paesaggio, quella inquietante degli impianti industriali dismessi, la bellezza dell’isola di Nisida con il carcere minorile a far da contraltare, la poesia del panorama di Pozzuoli e un mare sconfinato su cui si perde lo sguardo.
Paradiso e Inferno allo stesso tempo, in un territorio che di certo è molto cambiato dall'ultima colata, quella del 20 ottobre 1990, dopo la quale venne definitivamente spenta l’area a caldo del centro siderurgico.
Quanta storia è passata per questa zona: nel secondo dopoguerra gli impianti di Bagnoli ottennero una centralità produttiva rinnovata nello sforzo comune per la ricostruzione morale e materiale di un paese ferito da vent’anni di fascismo e messo in ginocchio da una guerra disastrosa.
Questa sua valenza portò lo stabilimento a sviluppare un’importante presenza sindacale che negli anni Cinquanta avrebbe acquisito il carattere di una realtà radicata e profonda facente capo alla CGIL con oltre il 70% delle maestranze iscritto e attivo nella difesa dei diritti del lavoro.
Nel 1964 lo stabilimento cambiò nome in Italsider; quella di Bagnoli, insieme alle fabbriche di Taranto e Genova erano di proprietà di una società pubblica, la Finsider che era stata costituita nel 1961 e si basava su quattro centri siderurgici a ciclo integrale: l’Ilva di Piombino, Bagnoli, Cornigliano, Taranto, ed altri stabilimenti minori, con produzioni settoriali, situati prevalentemente nel settentrione.
Con il rottame di ferro l’Italsider produceva acciaio pregevole sul piano qualitativo. All’interno degli impianti venivano fusi e riciclati, come acciaio, elettrodomestici, vecchi vagoni e scocche d’auto, dando vita a una pratica che anticipò quella che oggi noi conosciamo come economia circolare. Ciò nonostante, il decennio successivo sarebbe stato l’ultimo per questa attiva cittadella industriale.
Nei primi anni 80 lo stabilimento siderurgico venne ristrutturato all'80%, con una spesa di quasi 1000 miliardi di lire, mentre in contemporanea vi fu un netto taglio agli organici, che da 6000 unità passarono a 3750 dipendenti.
Un altro passaggio fondamentale si ha nel settembre 1985, con l’irrevocabile rifiuto dei vertici aziendali di procedere alla riparazione, giudicata lunga e costosa, del nuovo e modernissimo treno di laminazione senza il quale, l’Italsider, pur continuando ad operare, sarebbe stata più vulnerabile, perché maggiormente esposta alle oscillazioni del mercato.
Negli anni a venire proseguiranno i licenziamenti e il ricorso alla cassa integrazione, con una drastica diminuzione del personale, circostanza comune ad altre realtà industriali del napoletano, come per la Snia Viscosa, l'Indesit, dell'Alfa-Nissan, della Mecfond, delle industrie della zona orientale, senza dimenticare le difficoltà della Selenia, delle fabbriche flegree e la smobilitazione dei cantieri edili "regolari", mentre proliferano quelli abusivi.
La conclusione dell'attività dell'Italsider attestò il tramonto della centralità operaia nell’immaginario della società italiana e nell’orizzonte strategico delle stesse forze della sinistra.
Veniva praticamente certificato l’arretramento del movimento dei lavoratori, già battuto e umiliato alla Fiat nel 1980 con la "marcia dei quarantamila" per le strade di Torino e sottoposto a ripetuti attacchi, tra cui il "decreto di San Valentino" del governo presieduto da Bettino Craxi che, nel febbraio 1984, tagliò alcuni punti della scala mobile, favorendo inoltre la divisione tra le organizzazioni sindacali.
In un'intervista del 1984 un sindacalista napoletano della CISL, Salvatore Maglione, affermò che "Chiudere Bagnoli significa cancellare un pezzo di storia industriale … [e] … dopo l’ammodernamento chiudere uno stabilimento all’avanguardia come questo significa compiere un delitto industriale".
Nonostante l'impianto fosse stato ammodernato e reso maggiormente sostenibile dal punto di vista ecologico, con un investimento di circa 1200 miliardi, nel 1989 venne incredibilmente presa la decisione di smantellarlo, per poi svenderlo, per soli 20 miliardi di lire alla Cina e all’India.
Per il quartiere, la chiusura della fabbrica fu un colpo devastante. Non era solo una questione economica, ma anche sociale. La comunità operaia, che per decenni aveva vissuto attorno all'acciaieria, si trovò improvvisamente disorientata, senza un punto di riferimento. Molti uomini, abituati a lavorare duramente ogni giorno, si ritrovarono senza lavoro, senza uno scopo. Il quartiere cominciò a cambiare. I bar e i negozi chiusero, le strade si svuotarono. Bagnoli, una volta viva e pulsante, divenne un luogo desolato.
La bonifica dell'area non avvenne mai completamente, e il degrado prese il sopravvento. Le promesse di una riqualificazione si susseguirono, ma sembravano sempre parole vuote. Il mare di Bagnoli, una volta cristallino, era inquinato e pericoloso. Le spiagge, un tempo affollate di famiglie, divennero desolate.
Con il passare del tempo, però, ho cominciato a vedere Bagnoli con occhi diversi. Nonostante il declino, nonostante la perdita dell'Italsider, il quartiere ha mantenuto una sua anima.
Ci sono ancora persone che credono nel suo potenziale, che lottano per riportare in vita la sua identità. E anch'io, nel mio piccolo, ho imparato a riconoscere il valore delle mie radici. La storia dell'Italsider, di tutte le persone che ci hanno lavorato, è una storia di dignità, di sacrificio, di orgoglio.
Oggi, quando torno a Bagnoli e passeggio per le strade che ho percorso da ragazzo, sento ancora l'eco di quei tempi. L'Italsider non c'è più, ma la sua memoria vive in ogni angolo del quartiere, nelle storie delle persone che ci sono cresciute. E anche se Bagnoli è cambiata, anche se la fabbrica è solo un ricordo lontano, la sua identità operaia è ancora lì, radicata nel cuore di chi, come me, l'ha vissuta in prima persona.
A distanza di tantissimi anni, ho avuto nuovamente modo di accedere all'interno dell'area, per poter vedere le installazioni visive che l'artista Franz Cerami aveva proiettato su alcune delle strutture.
E' stata davvero un'esperienza unica, con quei giganti in acciaio che, con le luci pulsanti proiettate su di loro, sembravano tornare in vita, quasi a gridare la loro voglia di tornare in vita, di raccontare le loro storie di quelle migliaia di uomini che sono passati di lì.
Forse un giorno Bagnoli tornerà a essere quel luogo pulsante che era un tempo, forse no.
Ma una cosa è certa: l'Italsider e tutto ciò che ha rappresentato non verranno mai dimenticati.
E io, ogni volta che respiro quell'aria di ferro e salsedine, mi ricordo di essere figlio di questa terra, di essere anch'io figlio di Bagnoli.
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