Immaginate la scena: un Senato italiano placido, con i suoi membri quasi assopiti tra questioni di bilancio e discorsi prolissi.
Ed ecco che Matteo Renzi, noto per le sue frecciatine e per la sua dialettica da cabaret, sgancia una bomba.
Guardando dritto il ministro della Cultura Alessandro Giuli, dichiara che i suoi discorsi sembrano usciti direttamente da una scena di Amici miei e che lui altro non è che il moderno "conte Mascetti" della politica italiana.
Un’affermazione che, più che una critica, è un invito a uno spettacolo da "cinema all’aperto" della politica nostrana.
Il termine "supercazzola" è entrato nel gergo popolare grazie al celebre personaggio di Ugo Tognazzi nel film Amici miei, diretto da Mario Monicelli. Per chi non avesse familiarità con questa perla del cinema italiano (e per chi si è perso i corsi di "dialettica dell’insensatezza"), la "supercazzola" è un discorso elaborato e apparentemente forbito, che però, a conti fatti, non significa nulla.
È una danza di parole, un nonsense poetico che, pur privo di contenuto, può confondere chi lo ascolta al punto da farlo sembrare dotto e persuasivo.
Matteo Renzi, affilato come un coltello e spiritoso come un cabarettista, una volta tanto ha colto nel segno.
Nelle sue parole, il ministro Giuli sembra utilizzare una dialettica così complessa e labirintica che, a un occhio distratto, potrebbe ricordare proprio l’arte sopraffina della "supercazzola". Giuli ha risposto con fermezza, affermando che adeguerà il proprio eloquio alle capacità cognitive di chi lo ascolta, in un botta e risposta degno delle migliori scene teatrali.
A questo punto sorge una domanda spontanea: davvero è Giuli il “Conte Mascetti” della Cultura?" Nel mondo parallelo della satira, l’idea che un personaggio come Mascetti possa essere stato nominato ministro della Cultura è, senza dubbio, irresistibile.
Immaginate una conferenza stampa con il ministro della Cultura, mentre risponde a una domanda sulla gestione dei fondi per i musei italiani con una frase come: “Con permesso… dunque, brematurata la supercazzola con scappellamento a destra? No, perché qui è tutto un antani…”.
Il dibattito si fa interessante non solo per il contenuto delle dichiarazioni, ma per l'immagine iconica che Mascetti rappresenta: un nobile decaduto, ormai privo di risorse, che ha trasformato la propria esistenza in un’opera d’arte, fatta di nonsense, giochi di parole e maniere eccentriche.
E in questo, molti italiani si ritrovano: chi non si sente, almeno ogni tanto, un po' come Mascetti, mentre cerca di districarsi tra i labirinti burocratici del quotidiano? In questo senso, Giuli, per alcuni, potrebbe davvero sembrare il nuovo Mascetti, con i suoi discorsi che oscillano tra il poetico e l'enigmatico.
Non è un caso che la "supercazzola" sia diventata una metafora così calzante per descrivere alcuni aspetti della politica italiana. Da tempo, i cittadini assistono a dibattiti che sembrano più gare di retorica che reali discussioni di merito.
Promesse che si rincorrono come fossero parole vuote, programmi elettorali che oscillano tra utopia e assurdo. Ecco che Renzi, con la sua battuta, ha toccato una corda sensibile: la politica come uno spettacolo di cabaret, in cui a volte sembra che parlare senza dire nulla sia diventato un'arte sottile.
D’altra parte, la supercazzola ha una sua utilità. Come sottolineava lo stesso conte Mascetti, a volte le parole possono servire per non dire, per prendere tempo, per confondere e poi dileguarsi.
La supercazzola in politica diventa così uno strumento, un modo per sviare, per schivare una domanda scomoda, per mascherare un’incertezza.
E chi, se non un politico, potrebbe mai comprendere appieno il potenziale nascosto di una supercazzola ben orchestrata?
Facciamo un esperimento mentale: immaginiamo un discorso del ministro Giuli nello stile di Mascetti. Immaginiamolo mentre parla ai giornalisti, spiegando i futuri progetti del Ministero della Cultura con un tono solenne e forbito:
“Dunque, con riferimento al ripristino delle strutture museali, abbiamo pensato a una procedura di brematurazione acculturativa con scappellamento interdisciplinare a destra… perché, vedete, l’acculturazione è importante, ma solo se considerata in un'ottica antanica di valorizzazione. Chiaro?”
Gli astanti, inebetiti e confusi, si guardano intorno cercando di capire se sono stati illuminati o solo confusi. Ma a quel punto, il discorso è già passato al livello successivo, magari toccando temi come la "reificazione del patrimonio antropologico post-cinematografico" o la "de-periferizzazione delle aree museali extrapolistiche".
Un'assurdità?
No, purtroppo, a volte la realtà supera l'immaginazione, visto l'intervento che il ministro Giuli ha recentemente fatto alla Biennale di Venezia in occasione del lancio della nuova edizione della sua rivista.
Ecco come, dopo aver voluttuosamente annusato le pagine del periodico, inizia l'incredibile intervento del ministro della Cultura:
"Tutto ciò che è creatività nasce in un liquido amniotico e questo è il liquido amniotico di una grande storia che ricomincia dopo tanti decenni. È evidente che così come il corpo umano nasce nel liquido amniotico, si nutre di acqua ed è essenzialmente un contenitore di acqua che tende a disidratarsi nel corso dell'età, le civiltà che non sono consapevoli di sé stesse e dell'importanza dell'acqua si disitratano, culturalmente, moralmente, civilmente" dice Giuli che continua: "La Biennale è la dimostrazione di come ci si può reidratare dal punto di vista della cultura e si può irradiare attraverso studi scientifici, attività artistiche, di architettura, di musica, di moda, attraverso la straordinaria riscoperta del ciagimento di un archivio unico fatto anch'esso di acqua trasformata in carta. Senza gli alberi e l'acqua, la saggezza dell'acqua e degli alberi non avremmo tutto ciò che in questo momento rappresenta un artefatto di una qualità estetica nei limiti di quelle che sono le mie capacità di giudizio: di una bellezza memorabile. C'è la necessità comunque di ricordarsi che noi siamo figli del terremoto ma siamo anche figli dell'acqua, siamo aborigeni perché siamo aberrigeni cioè siamo coloro che hanno errato in tutti gli spazi del Mediterraneo tanto che ritroviamo le conchiglie sulle nostre montagne e che l'acqua è l'elemento che ci dà vita, è l'elemento che ci ha costretto a viaggiare a pensare, a immaginare, a rappresentare noi stessi. Non ho nient'altro da aggiungere se non che quando si è qui ci si accorge che, in fondo, l'Italia non è che una Venezia in miniatura" conclude il ministro della Cultura Alessandro Giuli.
A questo punto è lecito chiederci: dove ci porterà tutto questo? Forse verso un futuro in cui la cultura italiana sarà promossa attraverso discorsi sempre più complessi e labirintici, in cui nessuno capisce veramente cosa venga detto, ma tutti annuiscono per timore di essere giudicati ignoranti?
Forse assisteremo a conferenze stampa in cui le nuove acquisizioni di quadri rinascimentali saranno descritte come "soluzioni di brematurazione prospettica con scappellamento rinascimentale", e i restauri archeologici diventeranno "processi di rimodulazione antanica del suolo"?
Potremmo arrivare al punto in cui i fondi europei per la cultura saranno giustificati da frasi come “una necessaria rimodulazione delle strutture statali per un’acculturazione performativa e interattiva, con scappellamento euristico a destra”?
Infine, la vera domanda: il Ministero della Cultura di Giuli è davvero più "supercazzolato" degli altri dicasteri? Se guardiamo alla politica italiana nel suo insieme, possiamo trovare un po' di Mascetti ovunque, nei discorsi sull’economia, sull’educazione, sulle infrastrutture.
La "supercazzola", in fondo, è un po' come la pasta: sta bene con tutto.
Perché alla fine, l’Italia è un Paese che ama la retorica. Siamo i discendenti dei retori latini, dei poeti rinascimentali, degli oratori che facevano sognare e infiammare i cuori. Forse, quindi, un po' di supercazzola fa parte del nostro DNA.
E se non ci credete provate a chiedere al predecessore del ministro Giuli, cioè al buon Gennaro Sangiuliano, lui sì profondo esperto di "...cazzole".
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