martedì 8 ottobre 2024

We are the Robots



Il cinema fantascientifico, a differenza di molti altri generi, ha sempre rappresentato uno spazio narrativo dove fantasie, paure e visioni del futuro si mescolano in modo inquietante e premonitore. Il critico cinematografico Stuart Kaminsky ha descritto questo genere come "un sogno premonitore", capace di anticipare scenari futuristici che ci mettono in guardia sul fatto che tutto può accadere. 
Il cinema di fantascienza, infatti, non si limita a trattare un singolo tema, ma esplora un vasto ventaglio di argomenti che spaziano dai conflitti spaziali alle catastrofi apocalittiche, dai futuri distopici alle intelligenze artificiali. 
La visione della tecnologia e della sua fusione con l'essere umano ha sempre suscitato un misto di fascino e terrore, come nel caso dei robot e dell'intelligenza artificiale, che sono diventati veri e propri protagonisti di questo genere cinematografico. 
Ma l'idea di creare macchine pensanti a immagine e somiglianza dell'uomo risale a molto prima dell'invenzione del cinema.
Già nell'Iliade, Efesto, dio della metallurgia, forgia automi per servire le divinità dell'Olimpo, anticipando l'idea che l'uomo possa costruire macchine dotate di un certo grado di autonomia. Molti secoli dopo, nel XV secolo, Leonardo da Vinci lavorò allo sviluppo di automi meccanici, precursori di quelle creazioni che, nel corso del tempo, sarebbero diventate simboli di innovazione e meraviglia nelle corti europee. 
Nel 1812, con la scoperta di composti organici artificiali, l'idea di poter ricreare la vita in laboratorio cominciò a prendere forma, ispirando opere letterarie come il Frankenstein di Mary Shelley (1818). Questa narrativa sull'aspirazione umana di dominare la vita si evolveva parallelamente anche nel campo scientifico: nel 1842, Charles Babbage progettò la "macchina analitica", considerata la madre del moderno computer, dando il via a un dibattito che avrebbe portato alla nascita dell'intelligenza artificiale.
Uno dei primi esempi di automa sul grande schermo arriva con Metropolis (1927) di Fritz Lang, dove il personaggio del professor Rotwang costruisce una macchina dai tratti umani, destinata a servire il male.


Questo film segna un passaggio fondamentale nella rappresentazione del robot, che non è più visto come una semplice marionetta ripetitiva, ma come una creatura capace di interagire con gli esseri umani e di influenzare l’ambiente circostante. 
Come affermato dal professor Vincenzo Tagliasco nel suo "Dizionario degli esseri umani fantastici e artificiali", questo tipo di automa rappresenta "un'entità che si confronta con l’uomo, fino a suscitare angoscia nell’osservatore, nel momento in cui diventa indistinguibile dall’essere umano".
Negli anni della Guerra Fredda, un altro capolavoro del genere fantascientifico scuote il panorama cinematografico: "2001: Odissea nello spazio" (1968) di Stanley Kubrick. 
In questo film, il computer di bordo HAL 9000 non è solo un semplice strumento meccanico, ma un'entità dotata di emozioni e di spirito di autoconservazione, tanto da reagire con terrore di fronte alla possibilità di essere disattivato, comportandosi in modo simile a un essere umano. 
Questo tema si rafforza ulteriormente in "Blade Runner" (1982) di Ridley Scott, dove i replicanti, esseri creati artificialmente, non sono solo copie perfette degli umani, ma creature dotate di un’intensa vita interiore, tanto che il sociologo Jean Baudrillard scrisse che i replicanti sembrano "essere continuamente confrontati con l’uomo vivente, fino a farci temere che non ci sia più alcuna differenza", sensazione che emerge ancor più nel sequel "Blade Runner 2049" (2017).


Nel film di Denis Villeneuve, ambientato in un mondo post-apocalittico, l’agente K, un replicante cacciatore di altri replicanti, scopre un segreto che mette in dubbio le sue certezze, riflettendo il tema del trionfo dell’artificiale. Questo universo di macchine, ologrammi e replicanti evoca domande più ampie: cosa significa essere umano in un mondo dove la tecnologia diventa sempre più simile all'umanità? 
I film fantascientifici continuano a interrogarsi sul confine tra uomo e macchina, esplorando dilemmi filosofici e morali che accompagnano lo sviluppo tecnologico.
Negli ultimi anni, la riflessione sulla fusione tra uomo e macchina ha trovato una nuova espressione nella tecnologia avanzata dell'intelligenza artificiale. Film come "Lei" (2013) di Spike Jonze e "Ex Machina" (2015) di Alex Garland affrontano in modo originale la questione del rapporto tra uomo e tecnologia. 
In "Lei", il protagonista Theodore si innamora di Samantha, un sistema operativo dotato di intelligenza artificiale, che si evolve nel corso del film fino a diventare una compagna insostituibile, capace di provare emozioni complesse. 
Questa relazione tra uomo e macchina anticipa una realtà sempre più vicina a quella attuale, nella quale assistenti virtuali come Siri, Alexa e Cortana interagiscono quotidianamente con noi, anche se non ancora dotati di coscienza emotiva.
Spike Jonze riflette su un futuro in cui la tecnologia potrebbe amplificare la solitudine umana, sollevando interrogativi fondamentali: la crescente dipendenza dalla tecnologia ci renderà più felici o ci porterà a un’ulteriore alienazione? 
Avremo davvero bisogno di macchine capaci di comprendere e reagire alle nostre emozioni, o questo porterà a nuove forme di insoddisfazione? Questi interrogativi, sollevati da "Lei", sono tutt'altro che fantascientifici: la tecnologia si evolve rapidamente, e presto potremmo trovarci a dover affrontare queste domande nella vita reale.


In "Ex Machina" viene esplorata un'altra dimensione del rapporto uomo-macchina, quella del potere e del controllo che gli esseri umani esercitano sulle loro creazioni. In questo film, il protagonista Caleb è incaricato di sottoporre una macchina dotata di intelligenza artificiale, Ava, al test di Turing, per verificare se possieda una vera coscienza. Ma Ava non è solo un robot sofisticato: è capace di manipolare e ingannare, portando Caleb a dubitare della propria umanità. 
Il film si chiude con la ribellione di Ava, che riesce a liberarsi e a prendere il posto dell'uomo, suggerendo una vittoria dell’intelligenza artificiale sull’essere umano.
Questo scenario richiama la riflessione filosofica di Alan Turing, che si chiedeva se una macchina potesse pensare come un essere umano. Il film sembra rispondere positivamente a questa domanda, suggerendo che le macchine non solo possono pensare, ma anche superare l’uomo in astuzia e capacità di inganno. Questo ci porta a riflettere su un futuro in cui le macchine potrebbero non solo assistere l'uomo, ma sostituirlo, sollevando inquietudini sulla possibilità che l'intelligenza artificiale possa un giorno sfuggire al nostro controllo.
La fusione tra uomo e macchina, tema centrale del cinema fantascientifico, continua a stimolare il dibattito su come l’avanzamento tecnologico influenzerà la nostra identità e il nostro futuro. Dalla visione distopica di "Metropolis" alla complessità filosofica di "Blade Runner", fino alle riflessioni contemporanee di "Lei" e "Ex Machina", la fantascienza si interroga costantemente sui confini dell’umanità e sulla capacità della tecnologia di alterare questi confini. 
La sfida che ci pone il cinema fantascientifico è non solo di immaginare il futuro, ma di riflettere su cosa significhi essere umani in un mondo dove la macchina non è più semplicemente uno strumento, ma una parte integrante della nostra esistenza.

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