Megalopolis - Francis Ford Coppola
Nel 1988 Akira Kurosawa, dopo aver letto nell'autobiografia di Ingmar Bergman che questi era intenzionato a ritirarsi, inviò al regista svedese una lettera nella quale parlò al collega di un grande artista giapponese, Tessai Tomioka (1837-1924), che aveva dipinto le sue opere migliori nella prima giovinezza e poi in tarda età, superati gli ottant'anni. Kurosawa affermava dunque che un uomo era capace di produrre opere pure e prive di restrizioni una volta raggiunta la seconda fanciullezza dell'anzianità e, pertanto, invitava il collega a resistere e a continuare a creare. Ecco, benché difettosi e incompiuti tutti gli ultimi lavori di Coppola appartengono all'arte di un regista-bambino che non ha paura di niente, non si cura di compiacere né ha interesse a distinguere il buono dal cattivo gusto. È un artista libero di sperimentare continuandosi a chiedere che cos'è e cosa può essere il cinema.
La zona d'interesse - Jonathan Glazer
L'agghiacciante e quantomai attuale rappresentazione della banalità del male.
Civil war - Alex Garland
Film poco considerato ma assolutamente valido e paurosamente attinente ai nostri giorni.
Berlinguer La grande ambizione - Andrea Segre
La grande ambizione di Berlinguer, alla fine, chiusa nella lettera che scrive alla moglie, “perdonami per tutto quello che non c’è stato”, più che l’utopia di cui tutti parlano, era un sogno pragmatico, programmatico, che è diventanto rimpianto verso il nostro paese, per tutto ciò che non c'è stato appunto; lo scriveva Cechov settant’anni prima in “Le tre sorelle”, una commedia che sembra una tragedia: “come sono ricchi i sogni degli operai”. L’opera di Segre non è così ricca, ma funziona.
Davide Spinelli "Ondacinema"
Forse la versione western de "Il deserto dei Tartari", con un nemico che è praticamente assente, come già sperimentato da Clint Eastwood nel suo "Lettere Da Iwo Jima". Minervini ci offre un film di guerra in cui il conflitto bellico non è quasi mai svelato, ma in cui il dilemma umano,interiore e dialettico, è sviluppato dalle riflessioni personali dei personaggi, indagati, inseguiti e svelati nella loro intima essenza.
Giurato numero 2 - Clint Eastwood
Eastwood trascende il pessimismo nella malinconia, preferisce l’esercizio del dubbio alla facilità del dogma e ci ricorda che un mondo perfetto non esiste. È il suo ennesimo film terminale e, allo stesso tempo, l’ennesimo film che interroga le cose che davvero contano. Come nella scena finale, muta e lancinante, che si incastona nella memoria.
Ripley - Steven Zaillian (serie tv)
Girato esclusivamente in bianco e nero, nello stile del genere noir, sostituendo la pellicola a colori Technicolor con l’austerità monocromatica, scelta insolita visto che i paesaggi lussureggianti della Costiera Amalfitana, gli opulenti palazzi di Venezia e i dipinti di Caravaggio, genio assassino la cui vita affascinerà Ripley non poco, svolgono un ruolo essenziale nella serie.
Ben presto diventa chiaro che la mancanza di colore contribuisce a creare un certo disagio che non fa altro che aumentare la tensione e che Zaillian non vuole presentare una versione da cartolina dell’Italia, scegliendo quindi di restare fedele all'atmosfera del libro di Patricia Highsmith, oscuro e inquietante. Ci viene presentato un luogo che sembra in qualche modo ultraterreno, contrastante con il paesaggio armonioso della Costiera Amalfitana vista nei precedenti adattamenti cinematografici: non esistono le immagini estive e cangianti del Mediterraneo, solo rocce minacciose, nuvole scure, ombre cupe. La città costiera di Atrani sembra più malevola che pittoresca. Gli scatti in bianco e nero sono così artistici che si continuano ad ammirare le immagini quasi dimenticando che vi sarebbe anche una trama.
Da non perdere.
Dostoevskij - F.lli D'Innocenzo
Una discesa catartica negli inferi del'animo umano che stravolge e polverizza tutti gli standard del genere noir.
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