Ipotizziamo che "Sleepy" Joe Biden riesca a capovolgere i sondaggi attuali che lo danno per sconfitto, e si confermi ancora una volta come Presidente degli Stati Uniti d'America. Quale potrebbe essere lo scenario all'indomani del voto?
Donald Trump griderebbe ancora una volta al broglio, invitando i suoi sostenitori a ribellarsi con conseguente tentativo da parte di questi ultimi di dare l'assalto ai palazzi del potere.
E se stavolta s scendere in strada fosse anche una parte delle forze armate?
Siamo davvero certi che anche questa volta la ribellione verrebbe sedata?
Uscito lo scorso aprile, il nuovo film di Alex Garland parte proprio da questa tragica ma purtroppo possibile ipotesi: le forze occidentali del Texas e della California e il popolo dell’Alleanza della Florida si sono ribellate a Washington. Il presidente degli Stati Uniti (i suoi modi dittatoriali e presuntuosi non sono troppo distanti da Donad Trump) lancia appelli perché i secessionisti si arrendano.
I motivi sono oscuri o forse volutamente celati; è un tutti contro tutti, una sorta di riedizione dei conflitti balcanici.
In questo scenario si muove la fotoreporter Lee Miller (un caso l'omonimia con la Lee Miller che il 20 marzo 1933, su iniziativa di Heinrich Himmler, visitò il campo di concentramento di Dachau?), una Kirsten Dunst mai così "asciutta", unitamente ai suoi accompagnatori, la giovane aspirante fotografa Jesse (Cailee Spaeny), il giornalista Joel (Wagner Moura) e l'anziano reporter Sammy (Stephen McKinley Henderson), diretti alla volta della Casa Bianca, con la speranza di strappare un’intervista al capo del governo.
Già, il presidente degli Stati Uniti.
Il film ha inizio con un' immagine sfocata, irriconoscibile, del presidente USA, che per qualcuno è ispirato a Trump e per altri invece a Biden, che si appresta a parlare in TV a una nazione spaccata.
A rendere l’immagine nitida, con un teleobiettivo, è la fotocamera di una fotoreporter, una giornalista in un albergo a New York, a miglia di distanza dall’evento.
Se è vero che, come recitava la locandina di Gangs of New York di Martin Scorsese “L’America è nata nelle strade", secondo il film di Garland sarà sempre nelle strade che morirà".
Così il film si trasforma in un road-movie, con i quattro che, nel corso del loro viaggio,incontrano militari, appostati come cecchini, che uccidono, esclusivamente per non essere uccisi e non hanno la minima idea dei nemici a cui stanno sparando, e un folle soldato che chiede “Che tipo di americano sei? e che se dai la risposta sbagliata finisci orizzontale in una fossa comune.
In Civil War non esiste un senso per la guerra che viene combattuta nè tantomeno vengono spiegate le stesse ragioni di essa, a Garland sembra interessare solo la raffigurazione dell'orrore, lo stesso orrore profetizzato dal Colonnello Kurtz in Apocalypse Now.
E questo orrore viene raffigurato in maniera brutale, realistica, senza alcun compiacimento.
Corre sul filo dei parcheggi abbandonati, con il sangue che non sprizza come una fontanella, ma scorre sull’asfalto quando un cadavere è rimasto steso a lungo.
Immaginato durante la pandemia e sceneggiato prima degli eventi di Capitol City e dell’assalto al Campidoglio, la pellicola è la spaventosa radiografia di un mondo fratturato.
Caos, brutalità, disintegrazione e divisione si agitano in questa danza macabra accompagnata da una colonna sonora davvero notevole, comprendente alcune scelte davvero non comuni, come la spettrale "Rocket USA" dei Suicide - dei quali è presente anche la ritmata "Dream Baby Dream"-, e la "Say No Go" di De La Soul.
Ma la musica più inquietante è "America The Beautiful". Quell’inno patriottico solo fischiettato è il preludio al trionfo della morte.
E il film di Garland ci obbliga a guardare negli occhi quella che potrebbe essere la nostra fine, il nostro ultimo sguardo se non decideremo di cambiare e di tornare a comunicare.
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