Ah, Napoli!
Se pensavate che l’arte contemporanea fosse fatta di pennellate astratte e di giochi di luci complicati, siete completamente fuori strada.
Napoli ci sorprende sempre, ma questa volta ha davvero superato ogni immaginazione.
E non ci riferiamo alla solita scena con il caos dei motorini o al turista che si perde nei vicoli.
No, signori miei, qui si parla dell'installazione di un’opera d'arte (arte??) che rimarrà negli annali (e nelle “parti basse”, si direbbe).
Parliamo di “Tu si 'na cosa grande”, la nuovissima installazione, alta 12 metri, commissionata per abbellire Piazza Municipio perché sì, a quanto pare Napoli aveva proprio bisogno di un gigantesco fallo, travestito da Pulcinella, per attrarre ulteriori turisti.
Diciamolo subito: l’opera è perfetta.
Perfetta per chi? Per la classe politica napoletana, naturalmente!
È come se qualcuno avesse chiesto a uno scultore, anzi no, a un designer defunto (perché ormai gli artisti contemporanei devono rigorosamente passare a miglior vita per diventare icone) di scolpire un autoritratto subliminale dei politici locali.
Il risultato? Un abito di Pulcinella, simbolo della città, con due cuori rossi trafitti da una freccia… il tutto in una forma decisamente fallica. Cosa c’è di più appropriato per raccontare il modo in cui i nostri amministratori ci "trafiggono", giorno dopo giorno, con il loro inestimabile talento nel prendere decisioni “di cuore”?
Diciamolo chiaramente: 180.000 euro per un’opera così? Ma è un affare!
Finalmente qualcosa che vale ogni centesimo speso, perché rappresenta alla perfezione lo stato della nostra politica: imponente, grottesca, inutile. Un monumento che svetta sopra tutto, rigido e inamovibile, come le promesse elettorali fatte sotto il Vesuvio.
C’è chi si è lamentato della forma fallica. Ma perché? Il fallo, in fondo, è un simbolo universale di potere, virilità e dominio. Non è forse quello che vediamo ogni giorno nelle scelte della nostra amministrazione? E chi meglio dei nostri politici per incarnare questo simbolo?
Hanno costruito questo monolite esattamente come costruiscono le loro carriere: con enorme spreco di denaro pubblico, senza alcun senso estetico e con l’unico scopo di farsi notare.
Immaginatevi il sindaco Manfredi e il governatore De Luca, al momento dell’inaugurazione, che si guardano con complicità e dicono: "Ecco, finalmente abbiamo dato alla città qualcosa che ci rappresenta. Qualcosa di solido, fermo, e, per certi versi, decisamente ingombrante." È una metafora politica degna della migliore letteratura, anche se un po’ troppo esplicita.
Il titolo dell'opera, “Tu si 'na cosa grande”, pare ironico.
A chi si rivolge? Agli abitanti di Napoli che ogni giorno si svegliano tra scioperi dei trasporti, strade in condizioni distastrose, piene di buche e montagne di rifiuti? Forse si riferisce al “grande” impegno della giunta comunale nel garantire una città a misura d’uomo (o di camion dell’immondizia mai arrivato). O forse, più semplicemente, è un auto-omaggio alla "grandezza" di chi ha avuto la brillante idea di spendere 180.000 euro per un fallo di Pulcinella.
Giusto per mettere le cose in prospettiva: con 180.000 euro ci si potevano riparare un paio di strade, magari migliorare i trasporti, o semplicemente mettere qualche cestino in più nelle vie del centro. Ma no, Napoli aveva bisogno di un simbolo fallico per ricordare a tutti chi comanda davvero.
In fondo, l'opera ha un suo fascino, non si può negare.
È un’opera che stimola la fantasia: i turisti si fermano a scattare foto, ridacchiano, e si chiedono se Napoli sia una città perversa o semplicemente all’avanguardia. Ma non lasciamoci ingannare: questa installazione non è per i turisti.
È per noi, i cittadini. È il riflesso perfetto di chi ci amministra: figure che svettano alte sopra di noi, distanti, imponenti e assolutamente scollegate dalla realtà quotidiana.
E cosa dire dei due cuori rossi trafitti da una freccia?
Potremmo leggerci un’allegoria romantica, ma sarebbe troppo facile. I cuori, in questo contesto, rappresentano i bilanci comunali e regionali, trafitti quotidianamente da frecce chiamate cattiva gestione, spreco e inefficienza.
Ogni volta che un cittadino napoletano si ferma a guardare l’opera, non può fare a meno di pensare ai propri soldi, spesi in tasse locali e finiti in chissà quali buchi neri burocratici. Eccolo lì, il nostro cuore, trafitto, sanguinante, mentre osserviamo passivamente questa enorme manifestazione dell’inutilità.
La vera performance durante l'inaugurazione non sarà quella delle studentesse dei licei musicali, ma quella della classe politica locale, compiaciuta nel celebrare un’opera che non solo sfida il buon gusto, ma che dichiara apertamente la loro distanza siderale dalle esigenze dei cittadini.
C'è però un aspetto profondamente napoletano in tutto questo: l'arte del "non vedere". Da sempre i cittadini di Napoli si sono specializzati nel non vedere l’ovvio, nel fare spallucce davanti all'assurdo, nel girarsi dall’altra parte mentre il comune decide di spendere i nostri soldi in falli monumentali invece che in servizi essenziali.
E così ci ritroviamo con una piazza che sarà teatro di sguardi imbarazzati e risate soffocate. I turisti, incuriositi, scatteranno selfie, ma i napoletani? Loro, come sempre, faranno finta di niente. Perché a Napoli si è ormai abituati a tutto, anche a installazioni da 180mila euro che ci ricordano, ogni giorno, quanto siamo stati "penetrati" da decenni di pessima amministrazione.
In conclusione, "Tu si 'na cosa grande" è un’opera che fa il suo lavoro, eccome.
È un monumento alla politica locale, al suo modo di "infilarsi" nei nostri cuori (e nelle nostre tasche) con la stessa delicatezza di una freccia. Ma, d’altronde, cos’altro ci potevamo aspettare?
In una città dove il senso del grottesco ha sempre avuto la meglio sulla logica, era solo questione di tempo prima che l’arte contemporanea ci regalasse l’ultimo, perfetto autoritratto della nostra classe dirigente: un monumento alla loro grandezza, o meglio, alla loro ingombrante inutilità.
P.S.: il titolo è preso dall'omonimo pezzo degli Squallor, quantomai adatti per commentare la comicità dell'attuale politica napoletana.
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