Tutti conoscono Uncle Sam. Il vecchio con la barba bianca, il cappello a cilindro a stelle e strisce, che con il dito puntato ammonisce: "I want you!".
È la personificazione stessa degli Stati Uniti, l’incarnazione del patriottismo, della propaganda bellica, della fierezza nazionale. Ma cosa succede quando questa icona viene trascinata tra i senzatetto, impolverata, umiliata, messa di fronte ai propri fantasmi?
È ciò che accade nella graphic novel Uncle Sam, scritta da Steve Darnall e illustrata magistralmente da Alex Ross, pubblicata nel 1997 dalla DC/Vertigo. Un’opera che ha segnato un punto di svolta nel modo in cui il fumetto affronta la politica, la storia e la memoria collettiva.
Oggi, in un'America che stenta a riconoscersi nelle azioni e dichiarazioni del suo nuovo presidente e dei suoi accoliti, Uncle Sam torna a imporsi come lettura necessaria. Perché il suo messaggio, che l’identità americana è costruita anche su rimozioni, inganni e sangue, parla ben oltre i confini degli Stati Uniti.
Steve Darnall è un nome che nel mainstream fumettistico non ricorre spesso, ma proprio per questo risulta perfetto per raccontare una verità scomoda. Insieme a lui, l’illustratore Alex Ross, rompe con la sua estetica epica per dare vita a un’America sporca, decadente, tragica.
Il fumetto non ha una trama lineare. Piuttosto, segue un Uncle Sam smarrito, affetto da allucinazioni, che vaga senza meta in un’America frammentata e ostile. Ogni incontro, ogni visione, è un flash sulla storia nazionale: dal genocidio dei nativi alla schiavitù, dalla guerra in Vietnam alla segregazione, dalla corruzione politica agli scandali industriali.
La forza del racconto sta proprio qui: nella capacità di smontare la retorica dell’eccezionalismo americano e di proporre un’icona nazionale come vittima e carnefice del sogno americano.
Uno dei temi centrali di Uncle Sam è la riflessione sulla propaganda. L’iconografia americana ha sempre costruito se stessa sulla reiterazione di simboli forti: la bandiera, l’aquila, il cowboy, e ovviamente, Uncle Sam. Ma questi simboli, ci dice il fumetto, possono diventare trappole. Possono coprire la realtà sotto strati di retorica.
È ciò che accade nella graphic novel Uncle Sam, scritta da Steve Darnall e illustrata magistralmente da Alex Ross, pubblicata nel 1997 dalla DC/Vertigo. Un’opera che ha segnato un punto di svolta nel modo in cui il fumetto affronta la politica, la storia e la memoria collettiva.
Oggi, in un'America che stenta a riconoscersi nelle azioni e dichiarazioni del suo nuovo presidente e dei suoi accoliti, Uncle Sam torna a imporsi come lettura necessaria. Perché il suo messaggio, che l’identità americana è costruita anche su rimozioni, inganni e sangue, parla ben oltre i confini degli Stati Uniti.
Steve Darnall è un nome che nel mainstream fumettistico non ricorre spesso, ma proprio per questo risulta perfetto per raccontare una verità scomoda. Insieme a lui, l’illustratore Alex Ross, rompe con la sua estetica epica per dare vita a un’America sporca, decadente, tragica.
Il fumetto non ha una trama lineare. Piuttosto, segue un Uncle Sam smarrito, affetto da allucinazioni, che vaga senza meta in un’America frammentata e ostile. Ogni incontro, ogni visione, è un flash sulla storia nazionale: dal genocidio dei nativi alla schiavitù, dalla guerra in Vietnam alla segregazione, dalla corruzione politica agli scandali industriali.
La forza del racconto sta proprio qui: nella capacità di smontare la retorica dell’eccezionalismo americano e di proporre un’icona nazionale come vittima e carnefice del sogno americano.
Uno dei temi centrali di Uncle Sam è la riflessione sulla propaganda. L’iconografia americana ha sempre costruito se stessa sulla reiterazione di simboli forti: la bandiera, l’aquila, il cowboy, e ovviamente, Uncle Sam. Ma questi simboli, ci dice il fumetto, possono diventare trappole. Possono coprire la realtà sotto strati di retorica.
In un passaggio memorabile, il protagonista si ritrova a guardare un’enorme bandiera americana stesa su un edificio in rovina. È una scena potente, visivamente mozzafiato, che mostra tutta l’ambiguità dell’orgoglio nazionale: è un simbolo di speranza o un lenzuolo funebre?
Alex Ross, con il suo stile iperrealista, rende questi momenti quasi sacri, elevando la narrazione al livello della pittura storica. Ma è una sacralità capovolta, un’epica del disincanto.
Una delle qualità più rare di Uncle Sam è la sua capacità di evitare il moralismo facile o lo schieramento ideologico netto. Non è un fumetto "di sinistra" nel senso partigiano del termine, e non è nemmeno un pamphlet anarcoide.
Darnall e Ross colpiscono a destra e a sinistra, mostrando come l’identità americana sia stata tradita da entrambi i poli. La sinistra liberal viene accusata di ipocrisia e compromesso, la destra conservatrice di violenza e cinismo. Il messaggio è chiaro: il sistema è marcio a prescindere dal colore politico.
In questo senso, Uncle Sam è una graphic novel profondamente politica, ma anche radicalmente indipendente. Un manifesto del pensiero critico in forma visiva.
Chi si aspetta una narrazione edificante, troverà una doccia fredda. Questo fumetto non vuole consolare, non offre soluzioni facili. Mette a disagio, e proprio per questo funziona.
In un’epoca di revisionismi storici, in cui le democrazie sembrano dimenticare le proprie contraddizioni, quest’opera ci ricorda che la vera identità nasce solo dall’onestà. E l’onestà richiede di guardare in faccia anche il peggio di sé.
La figura di Uncle Sam, in questo contesto, diventa una sorta di Cristo laico, carico dei peccati della nazione, crocifisso dalla propria storia.
Una delle qualità più rare di Uncle Sam è la sua capacità di evitare il moralismo facile o lo schieramento ideologico netto. Non è un fumetto "di sinistra" nel senso partigiano del termine, e non è nemmeno un pamphlet anarcoide.
Darnall e Ross colpiscono a destra e a sinistra, mostrando come l’identità americana sia stata tradita da entrambi i poli. La sinistra liberal viene accusata di ipocrisia e compromesso, la destra conservatrice di violenza e cinismo. Il messaggio è chiaro: il sistema è marcio a prescindere dal colore politico.
In questo senso, Uncle Sam è una graphic novel profondamente politica, ma anche radicalmente indipendente. Un manifesto del pensiero critico in forma visiva.
Chi si aspetta una narrazione edificante, troverà una doccia fredda. Questo fumetto non vuole consolare, non offre soluzioni facili. Mette a disagio, e proprio per questo funziona.
In un’epoca di revisionismi storici, in cui le democrazie sembrano dimenticare le proprie contraddizioni, quest’opera ci ricorda che la vera identità nasce solo dall’onestà. E l’onestà richiede di guardare in faccia anche il peggio di sé.
La figura di Uncle Sam, in questo contesto, diventa una sorta di Cristo laico, carico dei peccati della nazione, crocifisso dalla propria storia.
È paradossale pensare che Uncle Sam sia uscito nel 1997, prima dell'11 settembre, prima delle proteste del Black Lives Matter, prima di Trump e di Elon Musk.
Eppure anticipa tutto.
Parla di una frattura interna all’America che è oggi più profonda che mai.
La rappresentazione della brutalità poliziesca, della povertà sistemica, del razzismo istituzionale non è figlia della cronaca recente: è radicata, strutturale, storica. E Uncle Sam lo sa bene.
In questo senso, l’opera diventa profetica. Ma anche terapeutica. Perché leggerla significa fare un viaggio nella psiche collettiva di un Paese che si crede invincibile ma è in realtà profondamente malato.
"Va bene, ma noi che c’entriamo?", potrebbe chiedersi un lettore italiano. In realtà, molto.
La rappresentazione della brutalità poliziesca, della povertà sistemica, del razzismo istituzionale non è figlia della cronaca recente: è radicata, strutturale, storica. E Uncle Sam lo sa bene.
In questo senso, l’opera diventa profetica. Ma anche terapeutica. Perché leggerla significa fare un viaggio nella psiche collettiva di un Paese che si crede invincibile ma è in realtà profondamente malato.
"Va bene, ma noi che c’entriamo?", potrebbe chiedersi un lettore italiano. In realtà, molto.
L’America non è solo una nazione: è un immaginario. È il modello culturale dominante dell’Occidente. È il linguaggio con cui interpretiamo la modernità.
Per questo l'opera non parla solo agli americani. Parla a chiunque viva in un mondo costruito sulle promesse del progresso, della democrazia, del mercato. E si renda conto che molte di queste promesse sono state tradite.
In più, è un’opera d’arte visivamente straordinaria. Una lettura che unisce forma e contenuto in maniera esemplare, e che dimostra quanto il fumetto possa essere veicolo di riflessione, non solo intrattenimento.
Per questo l'opera non parla solo agli americani. Parla a chiunque viva in un mondo costruito sulle promesse del progresso, della democrazia, del mercato. E si renda conto che molte di queste promesse sono state tradite.
In più, è un’opera d’arte visivamente straordinaria. Una lettura che unisce forma e contenuto in maniera esemplare, e che dimostra quanto il fumetto possa essere veicolo di riflessione, non solo intrattenimento.
Alla fine della graphic novel, la domanda rimane sospesa: chi è davvero Uncle Sam? È solo un personaggio? È un simbolo svuotato? È un sogno fallito? O è ancora, malgrado tutto, un’idea che merita di essere salvata?
Steve Darnall e Alex Ross non ci danno risposte. Ma ci offrono una lente. E ci invitano a usarla anche per osservare la nostra realtà. Perché ogni nazione ha il suo Uncle Sam. Ogni popolo ha il suo mito fondativo, e la sua crisi d’identità.
E forse, il primo passo per cambiare è proprio questo: riscrivere i simboli. Dare loro nuova vita. E farli parlare anche per ciò che ci hanno taciuto troppo a lungo.
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